6 Marzo 2010. Il silenzio dell’anima ti avvolge, ti attanaglia fino a diventare armatura, diventa poi voce. Una voce sottilissima che ti prende per mano e ti dice di abbandonarti, chè resistere è tanto inutile perchè qui non c’è più nulla da fare. Mark Linkous ha ascoltato quella voce, quel fantasma e oggi, dopo dieci anni, ne cantiamo ancora l’assoluta desolazione in musica di un artista ancora ai più sconosciuto.
Mark Linkous o Sparklehorse sono la stessa cosa e non importa. Non importa perchè tutto è sempre stato sorretto da quella voce leggermente scorticata, asessuata a tratti, dolorosa e malinconica. Una voce inerme che ti trascina in un vortice di sensazioni fortissime, profonde e disperate. Un pugno di dischi tra il 1995 e il 2006 per un piccolo scrigno.
“Vivadixiesubmarinetransmissionplot” (1995) per me il vertice assoluto, capolavoro low fi, ruvido e viscerale che mescola folk, cantautorato, indie rock ed emo core in egual misura. “Good Morning Spider” (1999) invece, risente dei demoni di Mark che qualche tempo prima era entrato in come dopo un cocktail di alcool e farmaci, ma è un lavoro ricco di pathos.
Così come “It’s A Wonderful Life” del 2001 che ci dona perle come “Apple Bed”, suadente ballata da brividi e una contorta “Piano Fire” con PJ Harvey alla voce. C’è il tempo per un ultimo album (“Dreamt for Light Years in the Belly of a Mountain”, del 2006, il cui contenuto è definito da Mark stesso come “little pop songs“) e poi il fragore di una pistola interromperà il percorso artistico dei Sparklehorse e di Mark Linkous ormai travolto dalla depressione più nera.
Io non cito mai gli Sparklehorse tra i miei preferiti perchè sento sempre un senso di reverenza quasi a voler rispettare la tranquillità e la poca dimestichezza dell’uomo Mark con lo stardom. Eppure, ancora oggi, sento che la sua parabola artistica vivie di una luce ancora vivida, una luce che come una candela nella notte ci conforta quando l’oscurità si fa troppo pesante.
Credit Foto: Osmund Geier / CC BY