Chissà  se Cristiano Pizzuti, mente e chitarra dei   Black Tail, ha letto il romanzo “Il sussurro del mondo” di Richard Powers. La mia domanda nasce da una strana coincidenza: mentre sto leggendo il libro in questione mi viene proposto di recensire “You Can Dream It In Reverse”, l’ultimo album (il terzo) della band laziale. La coincidenza o il piacevole e inaspettato incontro tra scrittura e musica nasce dalla presentazione della band nella loro pagina di bandcamp: “Nati dopo una passeggiata nei boschi intorno a Boston e cresciuti tra Roma e Latina“.   Gli alberi, i boschi e le foreste appaiono sullo sfondo della cover dell’album e nelle foto che ritraggono i componenti della band, anche i titoli di un paio di brani   hanno nomi di alberi (“Sequoia”, “Apple Trees”). Se Cristiano il romanzo non l’ha letto nulla di male, magari dopo questa introduzione un giorno lo farà , ma non è di certo della vicenda che ruota intorno alla sequoia Mimas   e ai suoi numerosi personaggi che vogliamo parlarvi ma piuttosto delle nove canzoni che compongono il lavoro dei Black Tail.

Folk rock dallo stile lento e a tratti dimesso si alterna a momenti più gioiosi e ritmati come nella introduttiva “China Blue” che con “The Great Comet of 1996” non può che scaraventarci alla metà  degli anni novanta quando gli Sparklehorse di Mark Linkous s’insinuarono tra le band americane più amate grazie al loro sound chitarristico tutt’altro che scontato. Ecco, le chitarre. Sempre delicate, amano intrecciarsi permettendosi di prendere i propri spazi come in “Sequoia” oppure più aggressive come in “Not OK” dalle influenze “paisley”. “Late Summer” ci fa assaporare il profumo del pacifico con le palme a ombreggiare durante un tramonto hawaiano. L’album si chiude con la splendida e melodica “Firecracker”, un bel lento da assaporare con la propria amata, comodamente distesi sotto le fronde di una quercia centenaria mentre il cielo assume le più svariate sfumature di ceruleo e rosa che si fondono all’orizzonte.

Si, paesaggi bucolici vengono alla mente ascoltando “You Can Dream It In Reverse”. Non possiamo ascoltarlo mentre passeggiamo nel verde intorno a Boston, soprattutto in questo periodo di restrizioni, ma questo disco merita di essere approfondito, e senza troppo esagerare, amato. Curato nei particolari, arrangiato in maniera raffinata ed elegante, cantato con dolcezza e quella dose di umiltà  dove si percepisce la passione per quello che tutti ci unisce , da Boston a Latina: l’amore per la buona musica.