Yves Tumor è un mistero. Alter ego di Sean Bowie, produttore e agitatore di stili con poca voglia di raccontarsi. Numerosi progetti con altrettanti nomi diversi negli ultimi dieci anni. Gli addetti ai lavori si sono interrogati sulla sua / loro (pronome che Bowie preferisce) identità  soprattutto dopo “Safe In The Hands Of Love” del 2018 pensando di aver inquadrato musicalmente un camaleonte in costante evoluzione.

Partito da territori tra ambient e elettronica mai rassicuranti è approdato oggi a qualcosa di più fisico e meno viscerale. Dopo un periodo di rodaggio col moniker Teams ha iniziato una lenta ma costante ascesa con EP crudi e sperimentali fino ad arrivare all’esordio sulla lunga distanza “When Man Fails You” seguito dal buon “Serpent Music” e dal già  citato “Safe In The Hands Of Love”. “Heaven To A Tortured Mind” è l’album in cui fa i conti con la notorietà  raggiunta, senza fare sconti. Forse per questo la musica diventa più melodica, più accessibile fin dalle prime note del trascinante singolo “Gospel For A New Century”.

Yves Tumor gioca con il funk, il glam, il rock, la psichedelia: Hunter S. Thompson (ri)letto in “Medicine Burn”, il lungo assolo di chitarra in una ballata lasciva come “Kerosene!” in duetto con Diana Gordon, il falsetto di “Hasdallen Lights” e “Romanticist” arricchito dalla voce di Kelsey Lu in background. Il pop rock grintoso di “Dream Palette” con la partecipazione di Julia Cumming dei Sunflower Bean. “A Greater Love” che sembra un omaggio al Prince migliore. Solo gli scatti elettronici di “Folie Imposèe” e l’aura notturna della notevole “Asteroid Blues” riportano al recente passato.

La cosa più incredibile è quanto “Heaven To A Tortured Mind” suoni stratificato e tortuoso eppure lineare, perfino prevedibile nell’aderire a certi schemi senza operare grandi rivoluzioni. Chiariamoci: Yves Tumor dimostra di conoscere e padroneggiare alla perfezione diversi stili musicali con una maestria che molti potrebbero invidiargli, il fascino dell’artista resta ma il risultato inutile negarlo non è paragonabile all’intensità  sonora delle prove precedenti soprattutto in “Identity Trade”, “Strawberry Privilege” o “Super Stars”.

Qualcosa non torna nonostante la produzione eclettica di Justin Raisen, bravo a creare ordine nel disordine e a far emergere il lato più “godibile” di un musicista non adatto a tutte le orecchie. Yves Tumor è diventato una Rockstar. Restiamo in attesa della prossima metamorfosi.