A occhio e croce non si trovano in giro per il web molti articoli “critici” sul fenomeno Take That: sì, molto costume, gossip, revival ma di qualcosa simile a una recensione non ho ricordi, se non dai trafiletti di “Tv Sorrisi & Canzoni”.
Qualche domanda in merito potrei anche farmela in tal senso, nel momento in cui mi approccio a storicizzare “Nobody Else”, inserendolo così in quella nostra rubrica nota per omaggiare gli album più significativi delle varie epoche.
Di fatto non voglio certo essere io il primo ad avere questo onere; dopo tutto un sito come il nostro tratta musica ben diversa da quella proposta dalla famosa boy band inglese e lungi da me allontanare anche inconsapevolmente il lettore affezionato, che potrebbe trovarsi in imbarazzo nel leggere questo nome fra i compleanni da celebrare.
Però ho pensato che potesse valere un po’ il concetto già espresso per i Lunapop, laddove mi fu espressamente chiesto di contribuire con un ricordo. Se l’ho fatto per l’imberbe Cesare di allora, perchè non dovrebbero “meritare” un pezzo anche i Take That?
Se riavvolgo il nastro dei ricordi, nel 1995 io avevo 18 anni, ero sintonizzato (da tempo) su altre frequenze, e dopo aver attraversato indenne e appassionato la fase grunge, mi ero gettato a capofitto pieno di entusiasmo in quel filone chiamato britpop.
In entrambi i contesti, sullo sfondo, c’erano loro: i Fab5, come erano stati ribattezzati preventivamente (e direi pure in modo quantomeno azzardato), tirando in ballo a mo’ di clamorosa iperbole proprio gli altri, forse gli unici, fabulosi che la storia della musica ci abbia consegnato.
Dopo aver smesso di ridere per l’accostamento, si può trovare in effetti un’unica analogia fra le esperienze dei Beatles e quella più recente dei Take That: entrambi crearono una sorta di isteria collettiva al loro passaggio, raccolsero in maniera copiosa gli applausi, i gridolini e i pianti, ed è indubbio che in questo senso anche l’impatto di Gary Barlow e soci fu devastante in ambito pop.
Durò tutto un istante però: la loro parabola fu fulminea e vide il suo apogeo proprio all’uscita di “Nobody Else”, che a lungo rimase l’ultimo album di inediti fino alla reunion (sospirata da tantissimi fans ormai diventati uomini e donne nel bel pieno della loro età ), giunta a più di 10 anni di distanza.
Il ricongiungimento della band in un primo momento avvenne senza il figliol prodigo Robbie Williams, che si unirà ai compagni solo nel 2010 all’uscita di “Progress”.
Nel mezzo, tra i primi vagiti nel 1990 (dopo essere stati assemblati dal manager e produttore Nigel Martin Smith), fino al 1996, quando salutarono il pubblico con un’accorata versione di “How Deep Is Your Love” dei Bee Gees, successe un po’ di tutto, perchè specie in Europa il loro nome fu in grado di monopolizzare le charts e, semplicemente, i ragazzi divennero qualcosa di più di un gruppo musicale.
Furono infatti tra i primissimi a far scatenare tutta una serie di aspetti collegati alla band ma che esulavano dall’ambito meramente artistico: gadget, merchandising spinto, ospitate ovunque, il tutto ad amplificare quel fanatismo cui facevo riferimento qualche riga più su.
Insomma, divennero ben presto qualcosa di più della “copia inglese” dei New Kids on the Block (forse la prima boy band moderna nata come tale), modello in ogni caso dichiarato del loro manager.
I Take That, pur non inventando appunto niente, funsero da paradigma per un certo modo di proporre musica pop dai forti richiami alla dance, in cui evidentemente l’immagine contava moltissimo.
Furono in questo dei capiscuola per schiere di giovanissimi emuli che sarebbero venuti da lì a poco, ma se togliamo i Backstreet Boys (che un po’ dell’estetica soul americana sembravano cogliere), nessuno si è mai avvicinato ai loro livelli di popolarità e vendita.
Forse perchè, aggiungiamo noi, nei Take That non c’era solo tanto spazio all’artificiosità , ma anche (e soprattutto) almeno due talenti riconoscibili: quello di Robbie Williams (persino troppo ingabbiato nella band, tanto da sentirsi stritolato e costretto a salutare non certo in modo amichevole la compagnia) e quello di Gary Barlow, autore principale, nonchè voce solista di quasi tutta la loro produzione.
La storia ha poi dimostrato che solo il ribelle Robbie avrebbe avuto i numeri e le qualità necessarie per sfondare, fino a diventare artista pop tout court della scena internazionale, mentre Gary avrebbe presto abdicato i sogni di gloria, schiacciato sotto il peso degli ingombranti paragoni con Elton John e George Michael. Tralasciamo la fugace parentesi solista dell’efebico Mark Owen, pur molto in vista nel quintetto, e i due principali ballerini Howard Donald e Jason Orange (quest’ultimo a quanto pare, sebbene con colpevole ritardo, si sarà reso conto della sua inutilità , visto che dal 2014 non fa più parte del gruppo).
Unendo le forze però il marchio TT ha dimostrato di avere ancora una propria valenza e un forte ascendente, facendo leva non solo sui fans di un tempo, ma conquistando probabilmente anche una fascia adulta di persone che si accontentano di musiche “facili” ma ben interpretate, con picchi di classe assoluta (come ad esempio in “Patience”, il singolo della rinascita, anticipatore del primo album post reunion).
“Nobody Else” chiuse invece la prima parte di carriera del gruppo, quella degli eccessi sfrenati e del successo strabordante, lasciando strascichi evidenti nei protagonisti che, lo si è visto a posteriori, erano giunti proprio stremati alla fine della corsa.
Si trattava dell’album della presunta maturità , una volta abbandonate le immagini fresche e adolescenziali che caratterizzavano il precedente “Everything Changes”, spensierato e danzereccio, ma fu arenato anzitempo dalla dipartita del giullare Williams.
Alla fine della giostra, il gruppo consegna comunque agli annali tre singoli bomba: “Sure”, con la sua pirotecnica coreografia, la ballatona “Back for Good” (divenuta presto un must… campeggiava ovunque!) e l’emblematica “Never Forget”, con tanto di malinconico video (presagio dell’addio?) dedicato all’Italia, Terra che li adottò e mostrò loro un calore ineguagliabile, a detta degli stessi protagonisti.
Non suona strano quindi affermare che – volendo sintetizzare quel calderone musicale che ha ribollito per tutti gli anni ’90 – , insieme a generi come il rap, il grunge, il britpop, il trip hop, il nu metal, si trovi una casella dedicata al pop delle boy band. E lì dentro, il posticino d’onore spetterà sempre di diritto ai Take That.
Take That – Nobody Else
Data di pubblicazione: 8 maggio 1995
Tracce: 11
Lunghezza: 50:40
Etichetta: Arista, RCA
Produttori: Gary Barlow, Brothers in Rhythm, Chris Porter, Jim Steinman, Dave James
Tracklist:
1. Sure
2. Back for Good
3. Every Guy
4. Sunday to Saturday
5. Nobody Else
6. Never Forget
7. Hanging Onto Your Love
8. Holding Back the Tears
9. Hate It
10. Lady Tonight
11. The Day After Tomorrow