Ma che bello il disco d’esordio dei Caltiki; sarà  che, di questi tempi, qualsiasi occasione per rimettere in circolo il sangue e l’entusiasmo diventa appiglio di evasione – e talvolta di eversione -; sarà  che, se c’è qualcosa che non passa mai di moda, è il rock’n’roll, e in “Amazzoni” ce n’è un sacco; sarà  che un disco che porta un nome così evocativo non può che finire col risultare un campionario delizioso di umanità , un omaggio alla bellezza sconvolgente della femminilità  che travolge e stravolge, declinata qui in dieci storie dal nome di donna che, come interscambiabili archetipi, calzano alla perfezione sulle vite di tutti noi.

Se tutto ciò che fa muovere il piede partendo dal basso ventre sembra parlare inglese con sbiascicato accento americano, è anche inevitabile – almeno per me, campanilista convinto – scovare nei Caltiki echi dei più ispirati Decibel, ma con un piglio ironico e scanzonato – con tratti di squisitissimo e garbato demenziale — che fa sorridere i fan degli Skiantos; ma, nella sciarada danzante di “Amazzoni”, trovano spazio anche sonorità   quasi AOR in ballad più “dritte” come “Marta”, senza però mai rinunciare alla deviazione godereccia di ritornelli che farebbero sudare ferormoni e adolescenza anche al più azzoppato dei proibizionisti.

Si sente che, dietro la genesi di “Amazzoni” di Caltiki, si nascondono in piena vista anni di ascolti di qualità  che partono dai Beach Boys e arrivano ai Peawees, senza disdegnare un certo tipo di lirismo nostrano che dà  a tutto il lavoro l’aspetto di un dinoccolato playboy che sa come far divertire la sua fiamma, senza perdere eleganza e stile. Ottima, sudatissima partenza.