Abbiamo infinite possibilità  di scelta ma sembriamo pietrificati, congelati, condannati ad affrontare la tempesta che si sta avvicinando…” dichiarava qualche mese fa Obaro Ejimiwe in arte Ghostpoet parlando del nuovo album “I Grow Tired But Dare Not Fall Asleep”. Non era certo quella virale la tempesta evocata dal poeta fantasma ma quelle frasi fanno pensare, rilette oggi.

Riflettere è un verbo chiave nel quinto lavoro di Ejimiwe scritto, arrangiato e prodotto da lui a Londra. Musica che riprende il discorso iniziato in “Shedding Skin” e “Dark Days + Canapes”: spoken word su arrangiamenti art rock con l’aiuto di collaboratrici come Polly Mackey (Art School Girlfriend) e Delilah Holiday delle Skinny Girl Diet, la francese SaraSara e Katie Dove Dixon.

“I Grow Tired But Dare Not Fall Asleep” ha il ritmo lento, sghembo e pericoloso di un noir con archi, sintetizzatori, moltissimo basso e chitarre. Strumenti che dominano fin dalle prime note di “Breaking Cover”, sei minuti che chiariscono perfettamente dove voglia trascinarci il poeta fantasma. Un mondo cupo, spettrale, descritto con minime ma significative variazioni sonore. “What becomes of me” si chiede Obaro Ejimiwe nell’epica “Humana Second Hand” e la domanda resta senza risposta, nebbia tagliata dalla sirena blues di “Concrete Pony”.

Un quinto album complesso e intenso da prendere a piccole dosi, che soffre di qualche passaggio a vuoto (il poema in musica “This Trainwreck Of A Life”nonostante il testo ben scritto, “When Mouths Collide”) bilanciato da brani col groove giusto come “Black Dog Got Silver Eyes”, “Nowhere To Hide Now” o “Social Lacerations”e la title track. Razzismo, Brexit, Windrush Generation, sex e doomed love. Non si fa mancare nulla Obaro Ejimiwe.

Qualcuno lo troverà  noioso, altri ipnotico e affascinante, altri ancora rimpiangeranno gli esordi di “Peanut Butter Blues & Melancholy Jam” e “Some Say I So I Say Light”. A Ghostpoet poco importa: lui spietato e vulnerabile si guarda allo specchio. Dice la sua invitando l’ascoltatore a fare lo stesso.

Credit foto: Emma Dudlyke