Sono passati trent’anni da “Pod”, disco che segnava il debutto dei Breeders, un progetto che si era prefigurato ben presto come qualcosa in più di un side project per le due leader designate Kim Deal e Tanya Donnelly. Già , perchè le due talentuose musiciste facevano parte rispettivamente dei Pixies e dei Throwing Muses, gruppi salienti per la fioritura e l’affermazione in seguito del rock americano di matrice alternativa.
In ogni buona famiglia a un certo punto però capita l’esigenza di staccarsi per cercare una propria strada, così nella fattispecie anche Kim Deal – che dei Pixies era valente bassista – sentì che era giunto il momento di mettersi alla prova, dopo essere stata poco coinvolta nella composizione dell’album gioiello “Surfer Rosa”. Aveva così iniziato a comporre in solitaria molti dei brani che qui vedono finalmente la luce. La miccia in lei tuttavia si accese soltanto dopo che, a un concerto dei Sugarcubes, si ritrovò con Tanya Donnelly a condividere ideali e visioni musicali, con la promessa di formare una band assieme.
In realtà la Deal aveva mosso i primi passi come songwriter molti anni prima, quando con la gemella Kelley ancora adolescente si dilettava a creare deliziosi e bizzarri affreschi folk rock in una primitiva band chiamata proprio Breeders. Arenato quel progetto con il suo ingresso nei Pixies, al momento di mettere mano alle sue composizioni – alcune scritte con Ray Halliday (che però non prese parte alla neonata band formata con Tanya Donnelly) – decise di riappropriasi di quel nome. Il cerchio si chiuderà un paio d’anni dopo la pubblicazione del debut album, quando Kelley si ricongiungerà alla sorella nel ruolo di chitarrista.
Tornando a “Pod”, è evidente come fossero urgenti quelle canzoni, quanta vena rock sgorgasse dai cuori e dalle vene delle protagoniste, alle quali si aggiunsero in pianta stabile in quella fase l’energico batterista Britt Walford (già con gli Slint) e la versatile bassista Josephine Wiggs, con l’aggiunta di Carrie Bradley a vivacizzare col suo violino una tavolozza di colori imperniata su un rock assolutamente vitale. Lo si intuisce sin dalla prima traccia, la misteriosa e ipnotica “Glorious”, con l’incedere cupo del basso, la batteria marziale, i vagiti minacciosi della Deal e l’elettricità potente della Donnelly miscelati in modo egregio.
Ragguardevole, seppur silenzioso, fu l’apporto del produttore Steve Albini, sorta di Re Mida delle future fortune legate alla scena grunge. E in questo disco in effetti ci sono tutti gli ingredienti che caratterizzeranno quella corrente, alla quale però i Breeders vennero accostati solo in parte. E dire che uno dei primi estimatori dei suoni taglienti e affilati che emergono prepotentemente in “Pod” fu proprio Kurt Cobain, simbolo suo malgrado della suddetta scena. Ma anche una giovanissima PJ Harvey può dirsi debitrice dei suoni potenti e abrasivi che riecheggiano in ogni brano di questo album e che lei saprà rielaborare nei suoi primi vagiti musicali.
La scaletta procede con la più distesa “Doe”, una delle prime canzoni abbozzate da Kim e con una riuscita cover della beatlesiana “Happiness Is a Warm Gun”, e ha i suoi primi veri sussulti emotivi con le briose e telluriche “Hellbound” e “When I Was a Painter”. E’ un lavoro diretto, che bada al sodo, anche condensando in pieno spirito punk il suo contenuto in una fiammata (tre brani sono sotto i due minuti di durata) e che comunque si mantiene su un buon livello dall’inizio alla fine, pur con qualche episodio minore nella sua seconda parte. Sarebbe quantomeno ingiusto però relegare alla voce “riempitivi” la fresca ma un po’ innocua “Fortunately Gone” o la cavalcata elettrica di “Opened”.
“Pod” è inevitabilmente un album acerbo ma altresì pieno di felici intuizioni e già in possesso di una sua personalità che si svilupperà in maniera più compiuta con il successivo “Last Splash”. In mezzo non si può dimenticare l’esplosività di un ep come “Safari” a fare da ponte fra i due lavori, nonchè ultimo documento ufficiale dei Breeders con Tanya Donnelly prima che la chitarrista salutasse la compagnia e andasse a formare i Belly, altra band degna di nota di un periodo scintillante per il rock made in U.S.A.
The Breeders – Pod
Data di pubblicazione: 29 maggio 1990
Tracce: 12
Lunghezza: 30:35
Etichetta: 4AD / Elektra Records
Produttore: Steve Albini
Tracklist
1. Glorious
2. Doe
3. Happiness Is a Warm Gun
4. Oh!
5. Hellbound
6. When I Was a Painter
7. Fortunately Gone
8. Iris
9. Opened
10. Only in 3’s
11. Lime House
12. Metal Man