Quando si parla degli anni 90 non può non farsi riferimento ad una delle più influenti band di questo prolifico quanto irripetibile decennio, gli eterni The Afghan Whigs. Mentre quegli anni venivano investiti dall’ondata grunge alcune band nascondevano almeno all’apparenza la loro idea di musica e, tra queste, c’era appunto la compagine di Cincinnati. La loro proposta musicale fu un continuo evolversi ora rasentando proprio quel grunge ora toccando i più alti livelli di rock alternativo finanche affacciarsi al soul e al blues. Inutile dire che al centro del progetto non poteva che esserci lui, Greg Dulli, il vero artefice della fortuna e del successo della band. Proprio Dulli ha pubblicato quest’anno il suo “Random Desire”, un album che ha ottenuto un ottimo riscontro sia in termini di qualità che di seguito commerciale e che anche noi di IFB abbiamo apprezzato. Orbene, conscio delle difficoltà e responsabilità alle quali si va in contro quando si parla dei Whigs, colgo l’occasione dell’uscita del disco solista di Greg quest’anno per buttare giù una playlist che sono sicuro incontrerà i vostri gusti ma che, altrettanto, vi farà storcere il naso, perchè no, su alcune scelte. Tant’è.
10 ““ALGIERS
2014, da “Do to the Beast”
L’album della ricercata reunion portò i Whigs, sedici anni dopo, a pubblicare per la Sub Pop Records questo settimo album caratterizzato dall’assenza di Steve Earle e dell’abbandono in corsa d’opera di Rick McCollum. Il risultato che ne venne fuori fu tutto sommato di valore dove a spiccare è proprio questa “Algiers” che suona come i vecchi successi della band. Il brano trascina e seduce con Greg Dulli evidentemente compiaciuto dal risultato perchè le note coinvolgono anche lui, soprattutto nel mezzo quando si dedica con uno sporco e rude assolo di chitarra.
9 ““KISS THE FLOOR
1992, da “Congregation”
Dal terzo album, quello decisamente più grunge di tutti, esce fuori questa perla dove i riff di chitarra tallonano dall’inizio alla fine del brano, insistentemente e potentemente. Le band di Seattle hanno di sicuro temuto per la loro esclusiva con l’uscita di questo disco.
8″“RETARDED
1990, da “Up in It”
Inconfondibile intro da urlo per questo brano durissimo, impietoso, nel quale Dulli plettrando sulla chitarra si lascia andare a grida di odio con “Muthafucker lied to you/Muthafucker took me head”.
7″“IN MY TOWN
1988, da “Big Top Halloween”
Spettacolare esempi di pure rock racchiusi in questi tre minuti che suonano come se non volessero finire mai. Goduria direttamente dall’album dell’esordio, anche se il pezzo poi venne inserito, insieme a “Big Top Halloween”, “Sammy” in “Up in It”.
6 ““ CRAZY
1998, da “1965”
Se “Congregation” è l’album più grunge, “1965” rappresenta invece la svolta diciamo più pop della band, un disco lodevole e curato con arrangiamenti di fino; ed è proprio l’incedere soft di questa “Crazy” che vengono fuori le capacità di un gruppo incredibile che ha saputo inventarsi ed evolversi senza mai cadere nelle mire prettamente commerciali.
5 ““MY ENEMY
1996, da “Black Love”
Altro incredibile intro prepotente in “My Enemy”, brano che non ottenne a mio avviso la giusta considerazione pur picchiando di brutto soprattutto nelle performance live.
4 ““ CONJURE ME
1992, da “Congregation”
Non poteva non esserci questa “Conjure me” in una playlist sui Whigs, dove il grunge incontra l’hard-rock dando forma ad una miscela esplosiva che si riverbera nei sentimenti conturbanti contenuti nel testo di Dulli: “I’m gonna turn on you before you turn on me/I’m gonna turn on you, can you conjure me?”
3 ““GENTLEMEN
1993, da “Gentlemen”
Il quarto album degli Afghan Whigs è senza dubbio il migliore della band oltre ad essere un capolavoro assoluto, un pietra miliare nel panorama indie-rock. Si tratta di un album variegato ma maturo, dove la scrittura di Dulli raggiunge l’apice e le chitarre di McCollum sono sempre più ficcanti ed incisive. La title track riassume plasticamente le intenzioni della band. Ispirati.
2 – ORIOLE
2017, da “In Spades”
Ultimo album pubblicato dai Whigs, un disco a mio parere sottovalutato perchè si tratta di un lavoro di qualità , di matrice new-wave, che ha tenuto conte di tutte le esperienze vissute da Dulli. Un disco psichedelico e a tratti oscuro dove spicca questa “Oriole”, un brano di una intensità incredibile, che ammalia con sonorità avvolgenti mentre la caratteristica vocalità di Greg accompagna le note senza invadenza.
1 ““ DEBONAIR
1993, da “Gentlemen”
Come si dice, primo gradino del podio senza sorprese. Gioiello di inestimabile valore nel patrimonio della band dell’Ohio con quel funk contenuto nei riff mentre tutto gira intorno ad un basso stratosferico e ad una corposa batteria mentre la voce di Dulli in stato di grazia tiene ben saldo il tutto. Insuperabile.
Credit Foto: Chris Cuffaro