Esce domani 12 giugno l’atteso esordio da solista di Orlando Weeks, l’ex frontman dei The Maccabees. Noi abbiamo avuto la fortuna di ascoltare in anticipo il full-length dell’artista britannico il quale attraverso undici intense tracce ha messo a nudo la sua anima mentre si preparava a vivere la più grande esperienza della vita, quella di diventare padre e dei conseguenti cambiamenti che inevitabilmente ciò comporta. “A Quickening” si porta dietro una vena rigida e suggestiva dove un sofisticato minimalismo caratterizza gli episodi del disco i quali, non superando mai i quattro minuti, rendono l’ascolto gradevole ed interessante. Anticipato dai singoli “Milk breath”, “Safe in sound” e “Blood sugar”, nei quali si intrecciano docilmente trombe, chitarre piano ed archi, il meraviglioso viaggio nell’anima di Orlando prende corpo e si dissolve negli ottimi arrangiamenti del suo “pop malinconico”.
Con “A Quickening” vengono in mente sonorità familiari ai Radiohead di “The king of Limbs” come nell’arabesca e ipnotica “All The Things” oppure nella sognante “Blame Or Love Or Nothing” ma anche in “None Too Tough” con la sua linea melodica sensoriale e avvolgente. Il ritmo scandito dalle note di piano di “St. Thomas” ci conduce ad uno dei migliori brani del disco, “Takes a Village”, con un esaltante fuzz e il suo commovente refrain. Con “Summer Clothes”, Orlando segna la via nuova intrapresa mentre con “Moon Opera” ci omaggia con una sorta di blues da camera vicino a “If on a winter’s night..” di Sting. Attraverso la sua eterea voce, Orlando apre alla closing track, “Dream”, che racchiude la summa della passione e della contemplazione della sua opera musicale.
Con l’occasione, quindi, della pubblicazione del suo lavoro, edito dalla label Play It Again Sam, abbiamo approfittato per scambiare due chiacchiere via skype con Orlando su questa sua esperienza da solista.
Ciao Orlando, come stai? Come vanno le cose a Londra, siete anche voi nella cosiddetta fase due?
Sto bene, grazie mille. Spero che anche tu stia bene. Stiamo facendo il vero primo piccolo passo verso la fase due ma ancora non siamo allo stesso livello dell’Italia.
Allora, il tuo primo album da solista esce il 12 giugno ed è incentrato sul tema della paternità , sulla più grande esperienza, quella di diventare genitore.
Si, più specificatamente ai giorni precedenti alla nascita di mio figlio e fino al suo arrivo. “Milk breath”, ad esempio, l’ho scritta prima della sua nascita.
Il tuo progetto “The Gritterman” ha avuto qualche ruolo nella creazione di “A Quickening”?
Credo che il progetto “The Gritterman” sia stato davvero positivo anche se nella mia testa in realtà avevo in mente una separazione delle cose. Ho lasciato i The Meccabees ed ho iniziato il mio personale progetto musicale mentre vedevo “The Gritterman” come una cosa autonoma, una idea ed ho capito che potevo iniziare a pensare “A Quickening”, trascorrendo più tempo al piano, senza legami con niente. In quel momento ho sentito davvero che potevo fare ciò che desideravo.
Perchè il titolo “A Quickening”?
Mi piace il suono delle parole, quasi mi imbarazza dirlo. Per me suona come “prendere slancio“, andare incontro a qualcosa ma anche nel senso “inglese” riferito alla gravidanza ovvero al primo movimento che percepisce una donna in attesa. Insomma, la sensazione che qualcosa si muove per la prima volta ed diventato rilevante per il disco e la musica.
I singoli “Safe in sound” e “Blood Sugar” hanno ricevuto ottimi riscontri. Che aspettative hai per l’uscita dell’album?
Credo che i singoli rappresentano l’album abbastanza bene, il suo sound, il suo mood, il “sapore” dell’album insomma, il modo vago o astratto con cui le parole narrano una storia. Penso ci siano momenti ancora più astratti nell’album ma queste canzoni sono buone “ambasciatrici” del disco.
Non solo a tuo figlio, ma anche alla tua compagna è dedicato un brano, “Summer Clothes”. Nel brano, le parole “Safe, Safe for your new man” si riferiscono al cambiamento che ha avuto la tua vita? Che progetti ha questo “nuovo Orlando” per il futuro?
La mia idea di nuovo uomo era semplicemente un bambino. Ho visto questo bel film intitolato “The New Man”, una sorta di documentario, commedia, dramma, dove l’attesa di un figlio viene vista soprattutto dal punto di vista dell’uomo, cioè il film racconta cosa significa essere un “padre in attesa”. Il film non solo mi indicato la via migliore su questa prospettiva, ma penso che mi abbia dato la fiducia per fare l’intero album. Mi ha permesso di poter meglio esporre, testimoniare, documentare l’esperienza che stavo vivendo. Un film divertente ma anche molto serio. Quella canzone, in particolare, parla di tutto l’impegno che la mia partner sta dimostrando a livello fisico ed emotivo e di quanto mi faceva sentire orgoglioso ed impressionato.
Il disco mi è piaciuto tantissimo, soprattutto le sezioni con la tromba. Un disco davvero avvolgente, dalla profonda atmosfera. Quali sono state le tue ispirazioni più importanti?
Penso ce ne siano state tante. Mi è davvero piaciuto l’ultimo disco dei Low, penso sia davvero bello. mi piace l’atmosfera dell’album. Ho amato davvero l’ultimo disco dei Talk Talk, The Blue Nile, The National. Tutti questi cantanti sono sorprendenti, adoro il loro modo di cantare che richiede una certa “muscolarità ” per raggiungere quel tipo di canto. Ascolto loro e mi sento molto più a mio agio con il mio modo di cantare. Penso anche alla sala di registrazione ed al suono che talvolta può essere ruvido, altre volte guidato da emozioni piuttosto che da altro. Penso alla mia voce che cerca di tamponare le cose e incontrare una tromba aggressiva, una tromba squillante, al basso che passa attraverso quei suoni contrastanti. Insomma, ci sono state tante ispirazioni.
Tra l’altro i musicisti del live hanno partecipato anche alla registrazione del disco. Sami El-Enany (tastiere), Wilf Petherbridge (trombettista) e Luca Caruso (batteria). Come è nata la loro collaborazione?
Sami El-Enany è un grandissimo musicista. Avevo bisogno di qualcuno che avesse il completo controllo degli strumenti e fosse anche flessibile. Gli ho parlato del mio lavoro e mi ha messo in contatto con suo cugino Ed (Nash), bassista dei Bombay Bicycle Club, per chiedergli di qualcuno che suonasse la tromba e lui mi ha presentato suo cugino Wilf (Petherbridge), che ha fatto un bellissimo liuto. Luca Caruso invece l’ho incontrato attraverso il mio management e posso dire “semplicemente” che è un batterista molto dotato. Tutti loro hanno creduto nel disco. Penso che era una mia responsabilità dare loro il massimo spazio di libertà possibile ma anche giocare con i loro punti di forza per sfruttare le loro capacità .
Dopo quattordici anni passati in una band è difficile intraprendere un nuovo percorso da solista. Credi che rappresenti un passaggio necessario?
Non per tutti. Dopo i Maccabees la cosa che più ho amato fare è stato partire dal nulla per quanto riguarda il lavoro e costruire qualcosa per una futura registrazione. Penso che questa sia la cosa che davvero mi da più pace e felicità e, poi, per me era importante continuare a sperimentare e credo che il lavoro sia come una sorta di “lavagna pulita”. Sono incredibilmente orgoglioso di ciò che abbiamo fatto con i Maccabees ma penso che bisogna dare un taglio con l’esperienza precedente. Certo, si può aggiungere qualcosa che hai fatto in precedenza piuttosto che essere in grado di iniziare di nuovo e al momento mi sto divertendo con questo album e non sono in grado di fermarmi con un contesto minore.
Uno dei miei brani preferiti dell’album è “Takes a village”, sound strepitoso e dal ritornello commovente. Immagino che Londra sia il fulcro della canzone. Cosa ha significato per la tua carriera artistica una città così importante come Londra?
Viviamo sulla costa meridionale e quando abbiamo scoperto che avremmo avuto un bambino siamo tornati a Londra perchè è una città che conosciamo e adoriamo. Quando sono tornato a Londra con la mia partner e mentre aspettavo un bambino vedevo ogni cosa diversamente, più “fresca”. Adoro tornare a Londra, adoro quella città e ci siamo spostati nella parte sud dove potevamo raggiungere l’ospedale a piedi, lo stesso ospedale in cui sono nato, dove all’età di 11 anni mi sono curato un braccio rotto. Nella mia vita sono spesso entrato e uscito dagli hotel e tornare come un padre in attesa…insomma, come se ci fosse una strana familiarità insomma.
Di solito a noi di Indie For Bunnies piace chiudere le interviste con due domande. La prima se hai qualche nuova band o musicista interessante da suggerire ai nostri lettori?
Mi piace tanto un ragazzo che si chiama Willie J Healey. Personalmente credo che sia un cantautore estremamente dotato e molto carismatico e presto uscirà con il suo nuovo disco.
La seconda se puoi scegliere una canzone da usare come soundtrack per questa intervista?
Direi una canzone degli Squid che si chiama “Sludge”.
Grazie mille Orlando e in bocca al lupo per il tuo debutto solista.
Grazie per il tuo tempo.