Dimenticatevi la vostra cara, vecchia webzine. Solo per oggi, in via del tutto straordinaria, Indie for Bunnies ripudia le proprie origini per trasformarsi in Industrial for Bunnies. Sacrifichiamo gli eroi del britpop sull’altare del Dio macchina per rendere onore ai Fear Factory e al loro capolavoro “Demanufacture”, che sarà pure arrivato al prestigioso traguardo dei venticinque anni di vita ma continua a suonare pesante come un martello pneumatico che frantuma blocchi di granito.
La band di Burton C. Bell e Dino Cazares lo registrò nel lontanissimo autunno del 1994 in compagnia di un collaboratore di grande autorevolezza per il genere: il produttore Rhys Fulber, noto ai più per la sua militanza nei Front Line Assembly. Proprio a lui, già al fianco dei Fear Factory per l’EP di remix “Fear Is The Mind Killer” (1993), spettò il non facile compito di aggiungere quel tocco “digitale” che consentì agli undici brani di “Demanufacture” di presentarsi al mondo come esempio massimo della nuova generazione dell’heavy metal.
Un mix rivoluzionario ed esplosivo tra industrial, groove e death, con un pizzico di new wave in superficie; fu con questa ricetta che il quartetto losangelino conquistò immediatamente il comando nella guerra tra uomini e robot, forte di un concept ipertecnologico ispirato a “Terminator” e di un sound artificiale contraddistinto da una violenza inaudita.
La batteria ultra-triggerata di Raymond Herrera, un androide ispanico preciso come un metronomo, guida la marcia dei Fear Factory lungo un percorso che non è nient’altro che un costante reinventare i canoni del crossover. Il brutale scontro con le macchine segna l’evoluzione del metal, che si tinge di sintetico ma non rinnega le proprie radici mortali. La musica di Cazares e compagni rappresenta infatti la più incisiva descrizione sonora di un processo doloroso ma inevitabile: i circuiti e i microchip compenetrano nella carne per dar vita a masse di replicanti che, nonostante l’assenza d’amore, vagano come anime perdute alla ricerca di una “terapia per il dolore”.
Le tracce di “Demanufacture” sono le loro grida d’aiuto: bestiali come i riff della title track, disperate come le cupissime atmosfere di “H-K (Hunter-Killer)” o affievolite da un briciolo di speranza, come suggeriscono i synth eterei della struggente “A Therapy For Pain”. A vestire i panni dell’uomo nuovo è il giovane Burton C. Bell, qui ancora in splendida forma. La sua voce è talmente potente e versatile da consentirgli di passare, nel giro di una frazione di secondo, da urla belluine a melodie appiccicose (quando non addirittura pop, come dimostrato dal ritornello di “Replica”).
La sua è la natura del cantante multitasking, adattabile e superiore al più progredito dispositivo digitale. Un’ugola portentosa in grado di vincere ogni tipo di sfida: gli assalti feroci di “Flashpoint”, i colpi devastanti di “Body Hammer” e “Pisschrist”, le mazzate techno della cafonissima “New Breed”. All’epoca, in quello splendido 1995, nulla sembrava scalfire la pelle d’acciaio dei coriacei Fear Factory. Dopo l’altrettanto eccellente “Obsolete” (1998), purtroppo, il motore iniziò a ingolfarsi e la stella della band si offuscò, messa in ombra dal successo del nu metal. Meglio ricordarseli così, quando la “fabbrica della paura” funzionava a pieno regime.
Fear Factory ““ “Demanufacture”
Data di pubblicazione: 13 giugno 1995
Tracce: 11
Lunghezza: 55:12
Etichetta: Roadrunner
Produttori: Colin Richardson, Rhys Fulber, Fear Factory
Tracklist:
1. Demanufacture
2. Self Bias Resistor
3. Zero Signal
4. Replica
5. New Breed
6. Dog Day Sunrise
7. Body Hammer
8. Flashpoint
9. H-K (Hunter-Killer)
10. Pisschrist
11. A Therapy For Pain