Sono passati 25 anni dalla pubblicazione di “Post”, il secondo album da solista di Bjork, volendo escludere il disco omonimo uscito quando aveva appena 11 anni e contenente per lo più cover di brani famosi riadattati in islandese, oltre ai suoi primissimi brani autografi.
Nel mentre vi erano state esperienze giovanili, ma sarebbe più corretto dire adolescenziali vista la giovane età dell’autrice, in vari gruppi fino a condividere poi l’esperienza con il futuro marito (da cui poi si separò) nei più rilevanti Sugarcubes, fondati dai due nel 1987. Una palestra importante dal punto di vista musicale ma anche a un certo punto una consapevolezza nuova, con la presa di distanza da atmosfere magari affascinanti ma ancora acerbe, e il desiderio incombente di mettersi finalmente in gioco ed esplorare mondi nuovi.
Fu con “Debut”, nel 1993, che per la prima volta il folletto islandese diede mostra di se’ e delle sue straordinarie intuizioni. A colpire l’immaginario non era solo la sua voce così espressiva e in grado davvero di comunicare urgenza emotiva, ma anche e forse soprattutto le sonorità multiformi in cui l’elettronica veniva brillantemente coniugata via via col pop e il rock, rivelando una miriade di suggestioni musicali.
Quelle medesime istanze si ritrovarono puntualmente, amplificate, in “Post” pubblicato due anni più tardi quel fulgido esordio. Il pool di lavoro si completa, venendo allargato ai nomi più cool del periodo (in fase di produzione la affianca gente come Howie B, Nellee Hooper, Graham Massey e Tricky), tutti che a più riprese avevano manifestato ammirazione e stima nei suoi confronti.
Vengono accentuati i lati più sperimentali della proposta, con l’artista libera di spaziare oltre il concetto di canzone, lasciando sfogare le inclinazioni per strutture di volta in volta eteree o compresse. Troviamo così a fianco di episodi in odor di trip hop come la sinuosa “Possibly Maybe” o “Enjoy” (non a caso in quest’ultima interviene Tricky), altri in cui l’atmosfera si fa plumbea, tendente al dark ma filtrato con un’elettronica spinta, vedi il brano apripista “Army of Me”, caratterizzato da un testo che lascia senza fiato, per quanto viscerale e potente.
Altrove Bjork si diverta a esplorare territori incontaminati, creando solchi profondi nella memoria collettiva, in un brano onirico e sospeso come “Hyper-ballad”, in cui mirabilmente l’aura sfuggente della migliore musica ambient si ritrova a braccetto con reminiscenze jazz e nu soul. Non è da meno il resto della scaletta, dove Bjork riesce più volte ad ammaliare l’ascoltatore, giocando su registri apparentemente antitetici, se volessimo accostare due fra gli episodi più memorabili: It’s Oh So Quiet” e “Isobel”. Nella prima l’utilizzo che fa della voce ne denota l’autentico talento: il suo rifacimento di un brano di Betty Hutton le consente di volteggiare e di fare vorticose piroette canore, quasi volesse cimentarsi in un musical d’antan; nella seconda invece viene proiettato tutto il suo mondo interiore in un mare ghiacciato di eterno struggimento, accompagnato da una musica sinfonica da pelle d’oca. Musica tribale e arpeggi jazz si fondono in “I Miss You”, mentre la conclusione è affidata all’eterea e composta “Cover Me” e all’intima “Headphones”, piena di tappeti sintetici e riverberi.
Insomma, pare evidente fosse alquanto riduttivo incasellarla come la cantante che aveva sdoganato la musica techno (per quanto la stessa amasse la musica dance nelle sue forme meno commerciali), in quanto Bjork già con “Post” si era divertita a mostrare più facce della stessa medaglia, flirtando con il pop (almeno a livello di immagine, con risvolti anche traumatici, per certi versi) e finendo per compiacere non solo la critica specializzata ma anche una copiosa fetta di pubblico avvezza a suoni decisamente più robusti, segno della sua naturale trasversalità ed eterogeneità musicale.
Il tutto verrà fragorosamente confermato dal successivo capolavoro “Homogenic”, a completare una fantastica triade, ma è indubbio come sia stato “Post” a imporla all’attenzione generale e a consacrarla a livello internazionale.
Un album che fu definito da alcuni futuristico all’epoca, e che a distanza di tempo suona invece clamorosamente anni ’90, con suoni, per quanto suggestivi e ricercati, figli di quel periodo specifico. Eppure è impossibile ancora oggi non farsi assoggettare dal grande fascino di quelle canzoni e della sua splendida autrice.
Bjork ““ Post
Data di pubblicazione: 13 giugno 1995
Tracce: 11
Durata: 46:10
Etichetta: One Little Indian
Produttori: Nellee Hooper, Tricky, Graham Massey, Howie B, Bjork
Tracklist:
1. Army of Me
2. Hyper-ballad
3. The Modern Things
4. It’s Oh So Quiet
5. Enjoy
6. You’ve Been Flirting Again
7. Isobel
8. Possibly Maybe
9. I Miss You
10. Cover Me
11. Headphones