Cigno viene da una dimensione che non appartiene a questo mondo discografico; basta aspettare il quarto accordo di “Stasera suono tardi” per capire che ogni aspettativa dell’ascoltatore sarà ribaltata nella discesa prospettica in un’intimità profonda, fatta di caleidoscopiche sequenze di immagini potenti, emotive, vere.
Il brano diventa così una perla dalle sonorità vagamente brit, ma impregnate di cantautorato nostrano; ogni parola del leggero – quanto pesantissimo – testo di “Stasera suono tardi” è calibrata per mirare al centro del discorso, oltre che del cuore: nell’era delle scritture in scatola, Cigno apre le finestre del cervello all’ascoltatore lasciando entrare aria fresca, seguendo la narratività implicita di un itinere musicale che porta l’anima ad aprire gradualmente il cut-off della propria emotività , liberandosi da ogni non-detto sulla catartica esplosione della coda del brano, dal sapore quasi beatlesiano.
Nei riflessi dei cocci della canzone di Cigno si specchiano vite diverse, tutte impegnate a fare a botte con la disarmante sensazione di perdita. Non c’è sconfitta, però, nel discorso musicale dell’artista, che erige l’ascoltatore ad interlocutore del proprio eroico e doloroso slancio di auto-elevazione: la potenza terapeutica del brano sta proprio nella sua ostinazione a scoprire le bende, lasciando cauterizzare la verità con l’ossigeno di una produzione ariosa, diversa, intelligente.
Non c’è trucco, non c’è inganno in “Stasera suono tardi”: solo tanta vera e profonda umanità .