Tre mozziconi di sigaretta in un orinatoio divelto. Per gli Sleaford Mods è questa l’immagine migliore per descrivere tredici anni di carriera pieni zeppi di invettive contro il capitalismo e l’austerità , lati diversi di una stessa faccia dall’aspetto disumano e distruttivo. La raccolta “All That Glue” celebra l’epopea di Jason Williamson e Andrew Fearn, una coppia di working class heroes che è riuscita a far breccia nei cuori di migliaia e migliaia di britannici – e non solo – grazie a un sound lurido ma screziato, nato dall’incontro di hip hop, elettronica, punk, lo-fi e garage.
Nell’arco di settantadue minuti si passa in rassegna tutta la produzione nota e meno nota del duo di Nottingham: oltre a brani tratti dai lavori precedenti vi sono anche singoli fuori commercio da tempo immemore, tracce apparse su rarissime compilation e ben nove inediti. è un best of atipico, magari anche un po’ prolisso vista la durata, ma è sicuramente un ottimo punto di partenza per tutti i neofiti di una realtà musicale in rapida ascesa, simbolo di un’Inghilterra travagliata da Brexit, disuguaglianze, mancanza di prospettive per il futuro e alienazione tecnologica.
Le basi strumentali di Fearn sono scarne, sporche e il più delle volte ridotte all’osso, con un basso e una batteria trattati digitalmente a fare da cornice alle parole di un Jason Williamson che, a metà strada tra il rap e lo spoken word, declama versi marci e pregni di alcol, sfoggiando la caratteristica inflessione dialettale delle East Midlands.
Lo stile della sua scrittura è dettato da impulsi, ricordi e ispirazioni del momento; è una sorta di versione britannica ed energica del Mark Kozelek della fase più recente, interessato maggiormente allo stream of consciousness che al cantato melodico. Il desiderio di non porsi paletti permette alla particolare poetica di Williamson di spaziare tra il serio e il faceto: si va dallo schifo più totale di “Tied Up In Nottz” (The smell of piss is so strong/It smells like decent bacon) alla strana orecchiabilità di “When You Come Up To Me”, persino dolce nel suo tentativo di dar forma a immagini leggermente più positive e ottimistiche rispetto al solito (I wanna love the sky and the universe). Non fatevi ingannare dalla copertina: “All That Glue” è un piatto decisamente ricco e invitante. I greatest hits possono ancora avere un senso”…e chi lo avrebbe mai detto?