Nuovo lavoro per Psychic Markers, uscito per la Bella Union. L’ album, rispetto al precedente “Hardly Strangers” del 2018,   sembra rappresentare un nuovo inizio, nel quale pur continuando un certo discorso psichedelico hanno inserito grosse dosi di elettronica.

Il disco nasce in parte, come ci racconta Steven Dove, dalla brutta esperienza avuta quando ha rischiato di morire a causa di una tempesta che lo ha messo al centro di un vortice di sabbia e detriti, mentre cercava di mantenere il controllo della sua auto impazzita, esperienza che ha lasciato il segno come lui stesso ha raccontato: ” These things impact you. I got thinking about human nature, our proneness to mistakes, imperfection and the implications of reactionary decision making“.

L’episodio lo ha spinto, insieme a tutta la band, verso una dimensione musicale e lirica nuova, in cui troviamo un riferimento anche al kautrock e un’ esplorazione elettronica ossessiva e non priva di fascino che, anche se con una certa discontinuità , mantiene alta la nostra voglia di ascolto fino alla fine.

Resta comunque presente il sound che avevamo apprezzato in “Hardly Strangers”, ma indubbiamente la scelta stilistica propone un cambiamento abbastanza evidente.

Il brano di apertura “Where Is the Prize?” è un buon inizio, mentre ” Silence in the Room” , accompagnato da un bel video, è forse il pezzo meglio riuscito dell’album, con un andamento alienante e ben costruito e un testo che si pone domande sull’esistenza e sulla vita.

Indubbiamente la band ricorda alcuni gruppi che, all’inizio della new wave, amavano sperimentare proponendo spesso un’ elettronica con toni oscuri e che trovavano nei primissimi Human League gli esecutori principali di riferimento, cosi capita con “Pulse”, intrigante nella sua ossessività  o ancora di più con “Enveloping Cycles”, nella quale ti aspetti che da un momento all’altro spunti la voce di Philip Oakey.

Alcuni brani appaiono però più deboli degli altri, come accade con “Sacred Geometry”, paranoico e disturbante ma senza mordente, così come il successivo “A Mind Full and Smiling”, l’episodio maggiormente melodico dell’album che non colpisce nel segno, anche a causa di scelte sbagliate e un arrangiamento penalizzante.

Con “Irrational Idol Thinking” va tutto meglio, anche se avrei evitato di dare effetti alla voce: avrei preferito la facessero risaltare, magari inserendo anche un controcanto e sopratutto va ottimamente con “Clouds”, dove si ripiomba in piena New Wave, tra la Germania degli anni ’70 e le contaminazioni pop inglesi, pezzo giustamente proposto come singolo.

Niente di nuovo quindi, ma comunque un album che, come dicevo, si ascolta fino alla fine, non è poco. Certo non un capolavoro, ha il pregio di riproporre una band vitale, valida e interessante che può indubbiamente trovare un suo personale seguito.

Photo credit: //bellaunion.com/artists