Peter Kember è la metà meno nota degli Spacemen 3, uno dei più importanti gruppi inglesi al crepuscolo degli anni ’80, autori di un rock psichedelico sporco e straziante che ebbe la fortuna di collocarsi nell’intersezione allora in atto fra il proto-shoegaze dei Loop, lo slowcore à la Galaxie 500, le onnipresenti reminiscenze dei Velvet Underground e il nascente movimento baggy.
Se l’altro socio di maggioranza, Jason Pierce, ha trovato un nuovo baricentro alla propria carriera con gli Spiritualized, Kember ha avuto un percorso molto più frammentario: dopo un primo disco a nome Sonic Boom nel 1990, “Spectrum”, un allucinato incrocio fra il Lou Reed più anfetaminico e i Suicide, ha adottato il nome Spectrum in pianta stabile e conseguito discreti risultati con un pugno di album elettronici negli anni ’90. Ancor meno organici sono i tentativi messi a punto dagli Experimental Audio Research, specie di supergruppo che contava sulle chitarre di Kevin Shields dei My Bloody Valentine e sulle percussioni di Eddie Prèvost, componente degli oscuri AMM, noti per il disco di culto “AMMMmusic” (1967), uno dei primi esperimenti di jazz, rumorismo ed elettronica in ambito rock.
Questo “All Things Being Equal” rispolvera il nomignolo Sonic Boom e tre decenni dopo prova a dar seguito a quell’esordio desolato. La formula dovrebbe consistere in una trance elettronica calata in ambientazioni spaziali (fischi, rumore di satelliti, disturbi di frequenza, droni meccanici), su cui si adagiano nenie bisbigliate placidamente con tono robotico e distaccato. L’esperimento mostra la corda già dopo i pochi minuti di “Just Imagine” e “Just a Little Piece of Me”, forse i brani meglio riusciti: nella più felice delle ipotesi, il risultato è una confluenza fra un Dan Deacon filtrato al rallentatore e le litanie oniriche di Panda Bear, che lo stesso Kember ha pure prodotto.
Un po’ di attenzione viene risvegliata da “The Way That You Live”, che almeno si azzarda a movimentare il ritmo, e da “I Can See Light Bend”, una piacevole rivisitazione dei Pink Floyd di “Welcome to the Machine” e del krautrock di matrice berlinese (quella di Klaus Schulze e Manuel Göttsching, per intendersi). “Things Like This (A Little Bit Deeper)” mischia ancora Suicide e Animal Collective, e vanta il ritornello più facilone.
Queste ninne-nanne senza nè capo nè coda, realizzate rigorosamente in analogico e ripetitive allo sfinimento, sarebbero un importante passo in avanti dello stato dell’arte della musica elettronica… se fossero state realizzate 40 anni fa. Purtroppo, nel 2020, l’operazione lascia la grama sensazione che Kember abbia semplicemente rispolverato vecchie demo e le abbia infiocchettate quel tanto che basta per darle una parvenza di modernità , in linea con gli standard “neo” psichedelici nell’era dei laptop. Chi riesce a vederci qualche tipo di innovazione artistica farebbe bene a ripassarsi la discografia di almeno Silver Apples e Tangerine Dream, e forse si stupirà di quanto possa essere noioso e prevedibile un lavoro come “All Things Being Equal”.