Ho seguito da vicino la lavorazione di quella miscela odorosa e raffinata che è “Bolle” sin dall’apertura dei cantieri, dall’inizio della vendemmia (sapevate che “Altrove” è anche il nome di un buonissimo bianco delle Cinque Terre?): due anni fa, Altrove si presentava al mondo con un brano che parla di tutti e che consigliava alle anime perse come noi di perdersi ancora di più, fino al fondo del Tempo; “Meglio stare altrove”, il singolo d’esordio del cantautore ligure, mi aveva conquistato e convinto a non perderlo di vista.

Dalle sonorità  dark dell’esordio – condite con il giusto grado di rock e sperimentazione, perchè Marco è pur sempre cresciuto a pane e Steven Wilson – alla ballad pop di “Naufragare” (subito inserita dagli editori Spotify nella loro playlist “Scuola Indie“) nel giro di qualche mese di distanza: un ritorno di fiamma – mi era sembrato allora quello di Altrove – verso le praterie del nuovo mainstream, ma con identità  da vendere e senza la necessità  di sedersi a riprendere fiato in pose emulative, come succede a tanti. Una manciata di settimane dopo, il terzo singolo ricorda a tutti come si possa fare ancora rock’n’roll senza perdere di freschezza, e senza doversi legare agli stereotipi del genere: in “Gelato all’amarena” c’era il mood giusto, il corretto movimento pelvico e l’adeguata spinta musicale da far gelare il sangue (e le opinioni da bar) a chi credeva che le nuove leve del pop siano tutte “lamenti e canzonette”. Giusto qualche settimana fa, poi, l’uscita di “500 Bianca” – di cui avevamo già  parlato anche su Indie For Bunnies – certificava la duttilità  e la versatilità  del genio creativo di Altrove, sempre impegnato a sfondare gli schemi usurati dalle ripetizioni ossessive del mercato, senza la rabbia dell’eversore ma con il piglio del riformista pacato, rispettoso e inesorabile.

Chiaro che oggi, all’uscita del disco – viste le premesse – l’attenzione (almeno, la mia personale) verso il progetto Altrove fosse alle stelle; fosse solo per la mia curiosità  di veder tirar fuori dal cilindro altri fuochi d’artificio, con i suoi castelli di carte in equilibrio precario quanto stabile sul filo del commerciale, senza cedere mai al lusso scontato della copia. E Altrove cosa fa? Regala al pubblico italiano, oltre che l’ovvio (quanto necessario) riascolto dei singoli usciti, quattro nuove perle tutte diverse, ma bellissime: “Intercity” riporta il baricentro verso la serenata italiana, facendosi inconsueto inno di tutti i cuori infranti, mentre “Patatine al cioccolato” sembra quasi fare il verso a tanta produzione pret-a-portèr che affolla le playlist italiane (sempre più spesso drammaticamente orientate verso derive lontane dal gusto di noi radical chic e tuttologi della musica) ma con intento quasi provocatorio: a dispetto del titolo – che qui funge da specchietto per allodole – il brano è tutt’altro che il solito minestrone di usate considerazioni sull’ultima sbronza, o su lei che se ne va; certo, c’è tutto questo (perchè il sistema, si sa, si deve combattere dall’interno), ma c’è anche molto di più nelle belle idee melodiche di Altrove e in un testo che non sa sedersi in banalità  d’altri. Poi c’è “Cenere”, che fa a gara con “Sorriso” di Calcutta a chi fa sudare di più l’ascoltatore con i suoi stacchi improvvisi e con immagini scolpite dalle sue chitarre e dai suoi sintetizzatori, più vicini al rock AOR d’oltreoceano che ai nostri anni Ottanta.

Ma il brano per più bello del disco, a mio parere, rimane la titletrack: “Bolle” è un capolavoro emotivo, un fine cesellamento di zaffiri intorno alla corona di spine di un’anima irrequieta, che tra le fila di tasti di un pianoforte da dichiarazioni intense (sapete, quel pianoforte piangente, che si senti nei film al momento del twist amoroso, un po’ alla Peppino di Capri o alla Edoardo De Crescenzo) trova lo slancio giusto per dar voce ai sentimenti di  Altrove che appaiono così veri e così puri da risultare all’ascoltatore come un pugno nello stomaco. Le canzoni belle, quando sono belle, hanno bisogno solo di sè stesse: “Bolle” rende alla perfezione la delicatezza di un album che fotografa la fragilità , ma con la pretesa di sollevarsi verso l’alto come bolla di sapone. E se è vero che non c’è niente di più delicato di una bolla, non si può certo negare che le altezze più vertiginose – come le profondità  più oscure – si raggiungono solo con leggerezza, e con ali e polmoni ben temprati dalla tecnica e dal tempo.

Per ora, la prima prova di volo di Altrove fa pensare che il cantautore non si fermerà  alle nostre Alpi, o alla carezza degli Appennini: nel mirino, ci sono le vette più alte, che sono anche quelle più pericolose e perigliose da raggiungere.

Ma Altrove sa volare e ha polmoni da vendere, questa è una certezza.