Il cantautore pugliese Buva, al secolo Valerio Buchicchio, con “Quarantena”, titolo involontariamente profetico – in quanto rappresentante una condizione intima e personale e scelto dal suo autore prima della pandemia – ha semplicemente realizzato uno dei migliori album di debutto dell’anno.
Pubblicato il disco alcuni mesi fa, il suo nome è salito di recente agli onori della cronaca per essere giunto secondo al Premio Tenco, dietro solo a Paolo Jannacci, figlio del grande Enzo. Per molti, però, il vincitore morale dell’ambita Targa, nella categoria dedicata alle opere prime, è proprio questo ragazzo, poco più che trentenne, originario di Cerignola. Il perchè è presto detto e si delinea in modo evidente, mettendosi all’ascolto delle dieci canzoni che compongono “Quarantena”.
Il disco, più che prendere le sembianze di un diario, per quanto non manchino diversi riferimenti alla sfera personale dell’autore e alla sua amata Terra, sa volgere lo sguardo altrove, puntando un orizzonte lontano, una globalità vista nella sua accezione più positiva.
Nei suoi brani Buva è riuscito a trovare una giusta mediazione tra istanze intime e sociali, queste ultime però declinate e illustrate mediante la sagace arma dell’ironia.
Che l’animo dell’autore fosse profondo, anche se appunto mascherato spesso da un sorriso e da una leggerezza di fondo che emerge chiara in superficie, se n’erano accorti presto anche in contesti specifici, visto che con il brano “Sud”, uno dei migliori del lotto, il Nostro già si era aggiudicato lo scorso anno il prestigioso riconoscimento di “Musica contro le Mafie”, poi ritirato a Sanremo. Prima ancora, in pratica appena mossi i primi passi come cantautore, vinse il Premio Umberto Bindi, nella fattispecie la “Targa Giorgio Calabrese” come migliore autore dell’edizione 2017, viatico per ottenere un importante contratto con la Warner.
Ebbe modo così di esordire come autore in un roster importante come quello di una major, un primo risultato tangibile fu la partecipazione, in fase di scrittura, a un pezzo di Ermal Meta. Insomma, carne al fuoco Buva ne stava cominciando a mettere, e si sa che l’appetito vien mangiando, così i tempi erano maturi per mettere a punto un intero album a proprio nome.
“Quarantena” è davvero un lavoro ispirato, sin dal suo incipit affidato alla paradigmatica, amaramente vera, “Le faremo sapere”, una specie di mantra che molti ragazzi e non solo, si sono sentiti ripetere in questi anni di crisi economica. Buva affronta il tema con grande dignità , citando pure il famoso Articolo 1 della Costituzione (“Perchè credo nella Repubblica Italiana, fondata sul lavoro”), e lo fa affilando sferzanti dosi di ironia nell’orecchiabile ritornello. Una traccia che non lascia indifferenti e che denota un grande talento compositivo e narrativo, memore certamente di un mostro sacro come Lucio Battisti, modello di ispirazione dichiarato, il cui fantasma aleggerà ancora altrove.
Seguono tre deliziosi brani che potremmo definire sentimentali e romantici, non quelli da sole cuore e amore, per capirci, ma sempre con la lampadina della creatività ben accesa.
Canzoni come “Insieme”, con la sua melodia cristallina, e soprattutto la splendida “L’amore è nei particolari”, sono mirabili esempi di come deve essere fatta una canzone pop con tutti i crismi.
Pur non raggiungendo ancora i tocchi poetici di un Niccolò Fabi o l’estro narrativo di un Samuele Bersani, siamo comunque su quel versante lì, al confine con la musica d’autore propriamente detta. Proprio quando il seme dell’originalità iniziava a essere messo in discussione, con i vari rimandi a grandi della musica italiana appena passati in sequenza, ecco che nella parte centrale del disco viene fuori prepotentemente, ma senza gridare, il suo vero cuore, con tutta la personalità del giovane cantautore.
Di “Sud” si è già accennato, non è una canzone che parla di mafia, ma racconta quella splendida parte del nostro Paese, in tutte le sue bellezze e contraddizioni, che rappresenta alla fine un richiamo fortissimo dal quale non si può proprio rifuggire. Un sud, parafrasando un efficace e suggestivo verso, con le braccia aperte verso il mondo, accogliente e caloroso.
Un mondo evocato che, nel caso di Buva, è quello latino americano, tornando all’eredità di Battisti e a un caposaldo come “Anima Latina”, rappresentato da un brano energico, vitale, irresistibile come “Amore Brasileiro”. Con la successiva “Libera” invece si tocca il vertice dell’intero lavoro, sia da un punto di vista letterario, dove tramite il sogno si può trovare la forza di non arrendersi e andare avanti, che musicale, con le sue dolci carezze a inframezzare parole disilluse.
Un arrangiamento molto naif, quasi da bossa nova, riveste al meglio la romantica “Musa come sei”, mentre in “Anacronismo”, dai forti cenni biografici in cui Buva ci strappa un sorriso ma ci fa pure empatizzare, torna il microcosmo dopo aver viaggiato metaforicamente per il mondo. Chiude il disco l’intensa “A prima vista”, musicalmente elegante e matura.
Ecco, volevo evitare di usare questo aggettivo che di fatto è quasi sempre arbitrario in fondo, ma Buva appare veramente, al netto che il suo è un debutto discografico, già un artista maturo e ben consapevole della sua arte, con uno stile riconoscibile e che, nella sua semplicità (che non deve essere scambiata per banalità ), riesce a trasmettere in maniera convincente il suo mondo interiore.
Al disco hanno lavorato inoltre dei musicisti di prim’ordine, citiamo almeno il batterista Piero Monterisi, tra l’altro suo concittadino, già all’attivo con gente come Silvestri, Gazzè e la PFM e il percussionista e trombettista cubano Jose Ramon Caraballo Armas.
E’ indubbio che sia stato svolto un ottimo lavoro, oltretutto autoprodotto, in ogni aspetto e particolare ma prima di tutto Buva ci ha messo parecchio di se’, confezionando dieci gioiellini che non ci si stanca mai di ascoltare e che fungono allo stesso modo da promessa per il futuro, che nel suo caso appare assai radioso.
Credit foto: Michele Caldarisi