Che lo shoegaze in Italia abbia trovato terreno fertile e solide basi non siamo noi a dirlo ma è la qualità  della proposta dei gruppi nostrani a confermarlo. Una formazione che ci piace assai arriva da Padova e, fin dal nome, mettono le carte in tavola, carte pesanti. Gli Heaven Or Las Vegas hanno da poco pubblicato il loro EP d’esordio e l’occasione per scambiare due chiacchiere con loro era proprio ghiotta…

Un nome, una garanzia…ma anche un rischio, perchè inevitabilmente tutti vanno li, con la mente a
Elizabeth Fraser. Però chi ben comincia è a metà  dell’opera, o sbaglio?
Lo speriamo proprio! Eravamo coscienti fin da subito quanto fosse rischiosa come scelta, andando a scomodare una band di culto, ma dopo il brain storming iniziale non siamo mai riusciti a schiodarci dalla mente questo nome”… Troppo potente, troppo efficace come metafora, dalle mille interpretazioni possibili, a partire dal contrasto tra sogno e realtà , ma anche tra la decadenza della modernità  e l’idea di una vita più pura, o ancora, al contrario, tra una vita basata su una morale imposta o invece più nichilista basata sulla soddisfazione dei piaceri. Sta a noi decidere.

Il cantato in italiano è stata una bella scommessa in un genere come il vostro. Scelta naturale o ci siete
arrivati per gradi partendo dall’inglese?
L’inglese è stata un’opzione ma fin da subito l’obiettivo era arrivare a cantare in italiano. Certo è stato un po’ difficile all’inizio rompere il ghiaccio, in un genere tipicamente in inglese, dove spesso i suoni contano più delle parole, ma, ascoltando anche molta musica italiana, trovavamo l’idea di cantare nella nostra lingua più sincera e con più potenza espressiva. Di grande ispirazione è stato sicuramente l’ascolto di band come Verdena e Cosmetic.

Partirei dall’iconografia del vostro EP: sembra incentrarsi decisamente sul cielo, su un lato onirico, su quello che sta sopra di noi. La città , nella copertina, occupa un ruolo marginale. Musica e immagini quanto si collegano nel vostro progetto?
Molto sicuramente, le immagini hanno sempre un’espressività  che è immediata e irrazionale, e siamo dei sostenitori del fatto che le suggestioni create dalle immagini possano dare una nuova atmosfera ai brani.
Per questo abbiamo fatto riferimento principalmente ad un immaginario spaziale ed americano, anche attraverso i video di “Loggia Nera” e “Pop Dream”. Tutte le copertine sono state realizzate da Nathalie, mentre lato video stiamo collaborando con Michelle Pan, giovane artista vicentina.
Per quanto riguarda la copertina dell’EP, la città , Las Vegas, di cui si apprezza solo la silhouette dello skyline e poco altro, appare piccola e insignificante rispetto al cielo soprastante, un monumento nostalgico e decadente ma un granello di sabbia rispetto all’infinito dell’universo.
E’ in questo contrasto che si esplicita il significato del titolo, una vita non basta per apprezzare nemmeno tutti i piaceri e le possibilità  terrestri, figurarsi per comprendere la natura dell’universo, ma è solo nei sogni, nella nostra mente, che riusciamo a carpire una piccola parte di questo infinito, e, attraverso le “”cose che non ho mai vissuto”, a vivere quello che non saremmo mai in grado di vivere altrimenti.

Adoro in loggia nera l’ossessività  della sezione ritmica, cosa decisamente azzeccata con l’omaggio a
Twin Peaks fin dal titolo. Il “non luogo” di David Lynch è veicolo spesso di cose in loop, di ossessioni e come dite nel testo, è davvero facile perdervisi. Che ne dite?
“Loggia Nera” fa riferimento ad una condizione di solitudine, ad un luogo mentale in cui ci si rifugia, in cui ci si rinchiude con i propri demoni quando non si riesce a comunicare con gli altri. Un luogo sicuro ma anche un luogo da cui è difficile trovare l’uscita. Da qui è stato immediato il riferimento alla loggia nera di Lynch, che è sicuramente stato di grande ispirazione in particolare per l’aver esplorato anche la parte oscura dei sogni, quella soffocante e claustrofobica, ripetitiva e incomprensibile.

Qual è la differenza, se c’è e se è esplicabile, tra il dream pop e il vostro pop dream?
“Pop Dream” è stato un vero e proprio esperimento, è un pezzo nato spontaneamente ma che ci siamo resi
conto subito essere tremendamente pop. Complice l’italiano, suonato in acustico solo chitarra e voce il
brano sembra davvero un certo pop italiano. Questo aspetto fa sicuramente la differenza, e fa discostare
un po’ il pezzo da atmosfere eteree e soavi, per aggiungerci invece un po’ di energia e di spavalderia.

Ho apprezzato una vostra playlist realizzata su Spotify, ma alla luce di “Cosmo Personale” mi ha sorpreso non trovare citati i Chapterhouse. E’ una band che non fa parte dei vostri ascolti?
Tra i gruppi a cui ci ispiriamo i Chapterhouse non sono proprio in cima alla lista, i nostri riferimenti principali
vanno dai classici shoegaze come Slowdive e My Bloody Valentine, ad esponenti più recenti come i DIIV, ma
ascoltiamo anche molto alternative italiano come Verdena e Fine Before You Came, fino ai classiconi anni
’90, in primis Pavement, The Cure e Smashing Pumpkins.

“Cosmo Personale” è una canzone con un gran lavoro ritmico, con repentini cambi di tempo e di atmosfere, che però riconducono sempre agli anni ’90. In questo brano mi pare sappiate mettere anche in luce un lato decisamente carico e fisico, che vi mostra tutt’altro che legati solo a mondi eterei. Sbaglio?
Assolutamente, le esperienze pregresse con altre band, dal punk all’indie rock, all’emo, fino al doom e allo stoner di Nathalie, hanno certamente contribuito ad una sezione ritmica più decisa e ad un’attitudine, anche sul palco, a volte irruenta. Crediamo che questa energia unita ad atmosfere sognanti possa essere un mix molto potente, che cercheremo di affinare nel nostro album d’esordio.

“Boyaijan’s Star” è la vostra canzone più lunga, praticamente il doppio rispetto a “Loggia Nera” o “Cosmo Personale” ed ha un taglio decisamente più popedelico. I vostri futuri pezzi verso quale direzione si stanno muovendo?
Possiamo fare un piccolo spoiler e dire che si, effettivamente i prossimi brani saranno un po’ più strutturati,   non necessariamente meno immediati ma con qualche sperimentazione in più. E’ nostra intenzione andare ad esplorare anche territori emo, consci del fatto che i mondi emo e shoegaze abbiano molto più in comune di quello che normalmente si pensi. E questa volta ci sarà  anche qualche incursione in ambito post-punk. Ma i denominatori comuni resteranno sempre melodia e distorsione, con una sezione ritmica serrata.

Ma questa idea del Flexi Disc a tiratura limitatissima rosa a chi è venuta? Com’è nata la collaborazione con i Dischi Soviet Studio?
I flexi disc sono una chicca realizzata da Alberto Almas, con cui Nathalie collabora, e sono 30 pezzi unici, incisi tramite un fonografo anni 50, e decorati a mano uno ad uno, da collezione!
Con Dischi Soviet Studio è stata una collaborazione nata in modo naturale, il presidente Matteo Marenduzzo ha dimostrato da subito un notevole interesse per le nostre sonorità , affini anche al suo gusto e alla sua storia musicale, e l’aver bazzicato nella scena locale per anni ha portato poi ad una solida collaborazione. Lo stesso spirito di collaborazione che ha permesso all’etichetta dal passare da una realtà  piccolissima ad avere una buona visibilità  nel mondo delle etichette indipendenti.

Posso chiudere con una domanda un po’ banale? I progetti dei Heaven Or Las Vegas per questo futuro ancora un po’ nebuloso quali sono?
Nonostante l’astinenza da live sia ormai insostenibile, e le nubi che continuano ad addensarsi sul futuro prossimo dell’industria musicale, per fortuna abbiamo un obiettivo ben preciso che è finire di comporre il nuovo album e chiuderci in studio. Speriamo il prossimo anno al più presto di farvi ascoltare qualcosa di nuovo!