Il nome di Alain Johannes non è certo sconosciuto agli appassionati della matrice più alternativa e avventurosa del rock. Produttore, fondatore degli Eleven insieme alla straordinaria Natasha Shneider, stretto collaboratore di Josh Homme nei Queens Of The Stone Age e nei Them Crooked Vultures, agitatore delle famigerate Desert Sessions. Tracce del suo passaggio si possono trovare in “Euphoria Morning” di Chris Cornell e in alcuni dischi di PJ Harvey e Mark Lanegan (“The Hope Six Demolition Project” e “Bubblegum” solo per citarne un paio).
Progetti a cui Johannes ha affiancato una solida carriera solista iniziata nel 2010 con “Spark”, proseguita nel 2014 con “Fragments & Wholes, Vol. 1” e giunta oggi al terzo album. Ottimi dischi, pieni di brani in cui le tante anime di chitarrista, bassista, autore e musicista a tutto tondo si fondono in uno stile molto personale, figlio di una mano esperta e di una mente resa saggia dai lutti e dagli eventi.
“Hum” somiglia a un cortometraggio in bianco e nero. Gioca sui contrasti tra chitarre acustiche e elettriche con un tocco di psichedelia e molta vita vissuta da riversare in trentaquattro minuti di note e parole. Un viaggio che inizia con un grido di sirene e prosegue seguendo correnti private e mappe segrete, appunti di navigazione che sembrano un diario da leggere con attenzione tra i ricordi e gli arpeggi di “Hallowed Bones”, la dolcezza del rimpianto di “Someone” e la rassegnata redenzione di “Here In The Silence”.
Regala emozioni il lupo di mare Alain Johannes e non ha paura di perdersi tra nebbie e fantasmi col suo cappello nero, la voce che trascina fuori dalla notte, fragile come un’alba tardiva in “Free”. Si sporca le dita di blues elettrico in “Sealed”, graffia col drone di “Nine” e chiude il sipario con la lettera aperta di “Finis”. “All that we started I’ll see to the end“. Messaggio ricevuto, Mr. Johannes.
Credit foto: Tom Bronowski