è tornata, ed è tornata alla grande, una delle eroine degli anni 90. Con questo nuovo lavoro, scritto in collaborazione con Michael Farrell e prodotto dagli australiani Alex Hope (Selena Gomez, Troye Sivan, Taylor Henderson, Wrabel, Tove Lo, Broods) e Catherine Marks (Foals, Manchester Orchestra, The Killers, Local Natives, Wolf Alice, Beware of Darkness, The Big Moon, Frank Carter & The Rattlesnakes), Alanis si allaccia a quell’inconfodibile sound nineties che l’ha introdotta nella schiera delle top player della scena musicale internazionale.
La big di Ottawa a distanza di ben otto anni dall’ultimo “Havoc and Bright Lights“ e nel venticinquennale di quel pezzo da “novanta” di “Jagged Little Pill” (sic!), ci regala e si regala il nono album in studio avvolto da un velo di malinconica sensibilità intorno ad una autobiografica esperienza contornata da crisi esistenziali, insonnia, depressione e maternità .
Nel momento un cui leggerete questa righe saranno già stati buttati fiumi di inchiostro (come si dice in questi casi) intorno a questo ritorno della Morissette e, in più di un’occasione, il responso si è assestato su una piena sufficienza.
Lasciatemi dire che siamo ben oltre. Il disco è un continuo susseguirsi di meravigliose note che riflettono senza dubbio lo stato d’animo di Alanis, al quale si aggiungono echi gentili e accorati di un’artista ritornata in quello stato di grazia che le appartiene.
Molti si aspettavano, vista la lunga attesa e le vicissitudini appena accennate che la canadese ha dovuto affrontare (di recente peraltro raccontate durante un’intervista al “The Guardian”) un album capolavoro che non è, ma questo “Such Pretty Forks In The Road” è davvero un gran bel disco. A partire già dalla meravigliosa traccia d’apertura “Smiling” che racchiude tutto l’immenso background raccolto dalla Morissette che ha messo in scena dei perfetti arpeggi uniti alla sua deliziosa e magnetica voce in falsetto. Il brano fu scritto già nel 2017 in occasione del musical di Broadway basato su “Jagged Little Pill” e diretto da Diane Paulus con i testi tratti dal libro di Diablo Cody.
Anche la successiva “Ablaze” dove ogni ritornello è una frase per i suoi figli riflette la consacrata maturità di un’artista che oggi è in grado di mostrare ancora di più una padronanza vocale a dir poco magnifica, affinata ed imbellita, unita ad una scrittura complessa e riflessiva. Le sonorità sono sempre caratterizzate da quella sensazione di ampiezza e vastità che si riverbera maggiormente negli episodi più ritmati come nelle maliziose note di pianoforte del singolo radiofonico “Reasons I Drink”, dove la Morissette ci racconta la personale lotta avverso le sue dipendenze alimentari, dal lavoro e dall’amore (“E niente può dare tregua come fanno loro/Niente può dare una pausa a questo soldato come fanno loro”) oppure nei riff delle chitarre dalle melodie pop di “Sandbox Love”. Stesso mood che si può trovare anche nella rabbiosa e ardita “Nemesis” dove un incalzante ritmo si propone di scandire i quasi sei minuti del brano e che condivide quell’atmosfera ruvida e drammatica con “Reckoning”, la quale racconta le brutte vicende finanziarie che Alanis ha dovuto affrontare a causa delle truffe perpetrate in suo danno dall’ex manager Jonathan Schwartz.
Una critica che può essere mossa all’album forse è da ricercare in una sorta di mancaza di slancio, come se il sound dovesse decollare da un momento all’altro ma rimane ancorato alle potenti corde vocali di Alanis, ad eccezione fatta per alcuni passaggi dei brani più ritmati sopra richiamati.
In realtà , questo non comporta un appiattimento del disco, anzi. I brani sono intrisi di dolcezza e intimità e sono tutti sorretti dal perfetto ed equilibrato binomio voce/piano accompagnati dai tasselli ritmici come nell’incantevole trittico “Diagnosis”, nella quale attraverso timidi violini narra della depressione post-partum (“E tutti intorno a me stanno cercando di aiutare il più possibile…/Ma andrò avanti in questo crollo
di diagnosi di nervosismo”), “Missing The Miracle” e nella quasi (se non fosse per il pianoforte) solo voice “Her”, anche quando la voce di Alanis si fa più intensa come nel rock finale di “Losing the Plot”.
Si tratta, comunque, di un album alla Morissette maniera che non si discosta dunque dalle linee tracciate nella sua lunga carriera e che segue, inevitabilmente, il successo del ’95. A fare la differenza ora sono i testi importanti e gli arrangiamenti sopraffini che scorrono lungo le undici tracce.
Gli archi solenni della closing track “Pedestal” conducono alle tristi parole rivolte alla fine di un amore (“E un giorno, vedrai che non mi hai mai amato veramente/Un giorno, scoprirai che tutto ciò che hai sognato non era chi ti stava davanti”) ed anche alla conclusione di questo “Such Pretty Forks In The Road” al quale, a parer mio, dobbiamo esser grati per aversegnato il più che gradito ritorno di una delle madrine della scena pop-rock d’autore.
Ci si vede on stage, Alanis!
Photo: livepict.com / CC BY-SA