Nel 2018 Brandon Flowers, frontman dei The Killers, a pochi centimetri dalla punta del mio naso mi deliziava con i suoi 7 (circa) cambi d’abito durante il live, al Rock in Roma, del penultimo album, “Wonderful Wonderful“. Da quell’ultimo album, prodotto nel 2017, tante cose succedono: Dave Keuning, chitarrista del gruppo, decide di uscire dalla formazione, nonostante si faccia risalire proprio a lui e Flowers la fondazione del gruppo e la creazione di quella hit che è “Mr. Brightside” e dietro alla produzione delle nuove tracce che compongono il nuovissimo “Imploding The Mirage” si nascondono personalità legate a nomi come Fletwood Mac o Foxygen.
“Imploding The Mirage“, prodotto da Shawn Everett e, appunto, Jonathan Rado, era già pronto prima della pandemia, era pronto già nelle strade desertiche dello Utah prima dello spostamento nel caos di Los Angeles e la visionarietà del titolo (che, citando il casinò Mirage, esprime il desiderio di Flowers di sostituire i vecchi casinò di Las Vegas con edifici più imponenti e maestosi) deriva proprio da un desiderio di cambiamento, di rivoluzione, forse la stessa che serviva ai membri della band per ripartire.
Se penso a Brandon Flowers penso alle cose fatte in grande e in profondità , un po’ perchè ho potuto tastare la sua energia da one man show personalmente, un po’ perchè sappiamo quanto il suo essere mormone influenzi i testi e le melodie, rendendoli solenni e quasi sacri, appunto. Sorrido compiaciuta quando, dopo aver sentito i primi singoli, mi viene subito in mente Bruce Springsteen e il sound glorioso degli anni Settanta e Ottanta e leggo che sì, canzoni come “Dying Breed” si ispirano palesemente a The Boss. Ne sento gli echi un po’ per tutto l’album, così come sento e riconosco trionfalità anche nella traccia di apertura “My Own Soul’s Warning“, che Flowers non vedeva l’ora di farci ascoltare essendo dichiaratamente la sua canzone preferita di quest’album e in assoluto della band:
I tried going against my own soul’s warning//
But in the end, something just didn’t feel right //
Oh, I tried diving even thug the sky was storming//
I just wanted to get back to where you are
Si prosegue con “Blowback“, scritta sulle note del cellulare del frontman. è la più veloce ad essere scritta e la più semplice, come le cose che descrive.
“Caution“, il primo singolo rilasciato, è soprattutto il risultato del tocco di Lindsey Buckingham (ex chitarrista dei già citati Fletwood Mac), che arriva con il suo assolo sul finale lì dove la band aveva affermato di essere in difficoltà a trovare una conclusione. “Caution” è la testimonianza, triste ma consapevole, dell’allontanamento da parte del frontman da Las Vegas (Let”…me introduce you”…to the featherweight queen// She got Hollywood”…eyes, but she can’t shoot what she see) ed è , nel sound come nelle parole, classic The Killers. E infatti è la seconda canzone nella discografia della band a piazzarsi più velocemente al primo posto della classifica alternative di Billboard, seconda solo a “When You Were Young“, a distanza di tredici anni, perchè è qualcosa che i fan storici sanno riconoscere e di cui tutti parlano; Brandon e Ronnie Vannucci ne eseguono un live da Jimmy Kimmel in piena quarantena e un estratto del videoclip, diretto da Sing J. Lee, riceve una nomination agli MTV Video Music Awards nella categoria Best Rock.
Ma l’arte non è assolutamente lasciata al caso in “Imploding The Mirage“; la cover art del disco, intitolata Dance of the Wind and Storm, è firmata Thomas Blackshear II, l’artista afroamericano che si ispira a Klimt e Parrish, così come tutte le altre copertine dei singoli, dalla Golden Breeze accerchiata da farfalle di “Caution” alla Golden Mane di “Dying Breed“, che la rende una metafora quasi tangibile. A “My Own Soul’s Warning” viene riservata una rivisitazione del Mighty Wind che scompone il volto già solenne dell’indiano raffigurato nella versione originale del dipinto.
Anche il secondo singolo, “Fire in Bone“, è rappresentato dal regno animale con Two Peacocks. Indubbiamente Flowers&Co hanno un’ossessione per le ossa (perdonate anche il mio gioco di parole) trattandosi della loro terza canzone che contiene questa parola dopo “Bones” e “Flesh And Bone“. Qui si parla di gente che ce la fa, della forza che si ritrova nonostante tutto.
Sono presenti ben due collaborazioni nell’album, che definirei positivamente retrò : la prima è “Lightning Fields” con la cantautrice k.d. Lang, una ballad lenta e sentimentale al punto giusto che al primo ascolto potrebbe tranquillamente sembrarci uscita dagli anni Ottanta e “My God“, con Weyes Blood, romantica da morire e indubbiamente fra le più belle, con quel suo Stay che si ripete e diventa emblematico di tutto il testo:
Wipe the dust from my eye//
Wash my feet with your tears//
My God, my God//
From your mouth to my heart//
Stay, stay
Sono però le canzoni riservate alla parte finale dell’album le più visionarie, quelle di cui mi son rimasti più impressi i passaggi e i paesaggi, le melodie e i sintetizzatori. I titoli già suggeriscono azioni, posti da raggiungere e sogni da riscoprire. Succede in “Running Towards A Place“, ma anche in “When The Dreams Run Dry“, quella che preferisco tra le dieci:
Reach for the summit//
Of an ancient design//
On the verge of eternal//
On the heels of divine//
If you stumble and fall (If you stumble and fall)//
If the way can’t be found (If the way can’t be found)//
We’ll just follow the moon to the stars, to the sun, to the ground//
And around, and around, and around
E l’aura di libertà rimane anche con la title track (I wasn’t locked in no collage// I was imploding the mirage), che è quella più frizzante e musicalmente più allegra (io ci ho sentito echi dei Queen)
Il dinanismo di cui tanto si parla in questo album non è sicuramente legato anche alla sperimentazione e The Killers non è sinonimo di innovazione, nonostante i numerosi album alle spalle, una carriera che ha superato i quindici anni e l’essere una delle band più famose al mondo. “Imploding The Mirage” è un album che coccola chi con questa band è cresciuto; è caldo, rassicurante e, al tempo stesso, una versione nuovissima di tutta quella musica che, non mi stanco di ripetere, ha caratterizzato gli anni Settanta e Ottanta, immaginari annessi. L’ispirazione e l’aiuto concreto dei mostri sacri dietro a questi progetto sono evidenti e lo rendono un album buono, piacevole perchè va sul sicuro.
Se volete bene a questa band o se avete semplicemente voglia di rituffarvi in quegli anni, che sono i favolosi per eccellenza, sapete cosa ascoltare per ALMENO questa settimana.