è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor“, di “Iosonouncane meno male che esisti“, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni“, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

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SAMUEL  
Tra un anno

Nell’anno in cui tutti i frontman della mia infanzia si sono sputtanati la credibilità  artistica fuoriuscendo da band storiche del panorama italiano per dar libero corso ad ego troppi ingombranti per essere celati sotto nomi collettivi (vedi Godano – Marlene Kuntz o Bianconi – Baustelle) salvo poi finire a cantare le stesse litanie usate e usurate o, peggio ancora, lanciandosi in esperimenti da salotti radical chic buoni solo a far chiacchierare cricche di intellettuali da decubito – impegnati più a spolverare monumenti al passato che a erigere ponti verso il futuro -, ecco, nell’anno della dèbacle del cantautorato e del crepuscolo degli Dei il buon Samuel sembra aver ritrovato i suoi vent’anni promettendosi novello sposo a sè stesso – ma ad un sè stesso tutto nuovo – e ad un pop fresco, ma non per questo leggero e frivolo: in “Tra un anno” c’è il giusto impegno di scrittura cantautorale ben esaltato da un’impalcatura musicale dinamica ma ben compatta, capace di portare in radio (o in playlist, perchè dobbiamo anche noi aggiornarci) il senso di un brano intelligente, capace di rimettere a nudo la voce dei Subsonica senza farci gridare all’osceno delitto del passato, o peggio ancora, ai primi segnali di un’andropausa delirante. Insomma, bello sentire una ventata di aria fresca nell’afa di quest’estate fin troppo torrida. Bello che, nel sopracitato crepuscolo degli Dei, qualche divinità  riesca a salvarsi dall’ecatombe dei suoi simili nell’unico modo possibile: scendendo sulla Terra, rimboccandosi le maniche, sporcandosi le mani.


PINGUINI TATTICI NUCLEARI
La storia infinita

Diciamo subito che – come la ristretta cerchia di amici che leggono il mio presuntuosissimo bollettino sa – i Pinguini Tattici Nucleari rientrano tra le realtà  musicali capaci di scatenare in me, ad ogni nuova uscita, il giusto grado di orticaria e di rabbia indomita contro cose, persone e me stesso (sì, arrivo a derive autolesioniste quando esaurisco gli obbiettivi esterni). E’ che a me quella patina di irrefrenabile presa bene mista a falò in riva alla spiaggia con saltellanti folletti a celebrare la festa della vita mentre poco distante l’amico nerd brufoloso (tipo io) riesce a dare il suo primo bacio alla più carina della classe non ha mai convinto; sarà  perchè non sono più un sedicenne in crisi ormonale, o forse perchè sono dalla parte di chi vede l’esistenza alla Giorgio Canali (ovvero come una serie di sfortunati eventi conditi da urla, suoni gutturali e clave che sfasciano falò e folletti), o forse ancora perchè non ho mai perdonato ai sedicenni di oggi l’incapacità  di rendersi conto che una delle più celebri ed osannate hit dei PTN – trovarla sta a voi, adolescenti di oggi: redimetevi dalla vostra disattenzione! -altro non è che una malcelata emulazione di “Sabbia del deserto” di Ivan Graziani; insomma, di motivi per inserire “La storia infinita” – e già  solo leggendo il titolo, stamattina, un brivido freddo mi ha attraversato la schiena e mi ha gelato l’iniziativa – nello slot “FLOP” del bollettino di oggi ce n’erano eccome; ma la verità  è che sto invecchiando, che alla fine una parte di me ha bisogno di disperata leggerezza e che il pezzo male non è. In tempi di guerra ogni buco è trincea, e anche il nuovo singolo dei Pinguini può dare lo stesso effetto dato da Marlene Dietrich ai soldati al fronte: intorno, esplodono ancora bombe latino-americane e disgusti musicali vari, ma per qualche minuto è bello sentire qualcuno che suona ancora – e per davvero, perchè sulla coesione e sull’impatto della band bergamasca non si discute – e che ci distrae dal disastro di questa Waterloo estiva.

AURORO BOREALO feat. ARIELE FRIZZANTE
Fuori noi

Auroro Borealo è palesemente il figlio ribelle, scanzonato e imprevedibile del glorioso rock demenziale nostrano che fu. Piglio alla Freak Antoni, passo deciso (si fa per dire, il passo di Auroro è tutto fuorchè deciso) alla Elio, ogni tanto qualche sussulto al cuore nel percepire – nel suo modo di pensare la musica – puzza di Squallor e tanta, troppa irriverentissima distopia da terzo millennio. Ridere di sè stessi è il modo più ribelle e rivoluzionario – ai tempi della società  perfetta solo nel pensarsi perfetta, erroneamente – per dire no al degenero dei costumi, al deperimento della spontaneità  e alla morte dell’identità : in un contesto socio-culturale in cui tutto va al rovescio, la maleducazione e le brutte intenzioni (come direbbe Morgan) diventano la ginnastica necessaria a non piegarsi alla livella inevitabile della massificazione, sotto il pugno chiuso del mercato. Auroro quando scherza fa sul serio, e per chi avesse dei dubbi in merito alla sua autoironia – e a quella del suo brother in arms Ariele Frizzante (10 alla fantasia della coppia, non c’è che dire) – da oggi è su tutti i digital stores “Gli occhi del mio ex”. L’ho ascoltata dieci volte, ma mi aveva già  convinto a partire dal titolo.

FLOP


EMMA MARRONE  
Latina

Ragazzi, parto con una confessione e spero che a leggerla siano arrivati davvero in pochi perchè si tratta di una rivelazione scottante, di quelle che se rivelate rischierebbero di minare alla base la mia credibilità  di intellettuale radical chic (sì, come quelli di cui parlavo a proposito di Bianconi & co.). La dico? La dico: a me Emma Marrone non dispiace così tanto. Anzi. A me Emma Marrone sta proprio simpatica. Cosa c’entra la simpatia con la musica? Tantissimo, diciamocela tutta: ci tornereste a mangiare in un ristorante in cui le portate erano squisite ma il cameriere ad ogni nuova ordinazione vi faceva sentire come cavie da dietologo, o peggio, come contadinotti al tavolo del Re? Ecco, Emma Marrone a me sta troppo simpatica per non assaggiare – ad ogni nuova uscita – le sue novità  musicali: mai niente che mi sconvolga la vita e la dieta quotidiana, ma alla fine da Emmuccia bella torno sempre perchè oh, le voglio bene e mi tratta sempre con un occhio di riguardo. Quindi oggi mi dispiace metterla in castigo dietro la lavagna, ma viste le premesse alla base di “Latina” le aspettative del mio palato erano altissime e, ahimè, il risultato è stata la solita mesta minestra riscaldata (e male). Metti insieme la produzione di Dardust e il testo di Calcutta e Davide Petrella, dai al tutto la giusta spolverata di passione e violenza che Emma riesce sempre a dare e hai una buona possibilità  di tirar fuori dalla cucina qualcosa di diverso; ma l’alchimia fra le parti non si crea a priori sulla bontà  dei singoli elementi, ma dalla loro compatibilità  e dall’efficacia della miscela. Ecco, “Latina” è il classico mapazzone che confonde le papille gustative, frustra la salivazione e che costa – sicuramente – anche un sacco di soldi. E per una volta, stasera, vado a mangiare altrove. Non me ne abbia Emma: si torna sempre dove si è stati bene, e sono sicuro che questo è un arrivederci.