Nel deserto di festival ed eventi cancellati in questa stranissima estate, sono nate alcune piccole gemme che per una sera mettono il cuore in pace a noi voraci consumatori di musica live. Una di queste è sicuramente Cuori Impavidi, la rassegna di concerti organizzata a Milano da Circolo Magnolia e Mi Ami Festival. Una manciata di date tra luglio e settembre, a pochi passi dalla classica location del Mi Ami e sullo sfondo suggestivo del lago dell’Idroscalo. Stasera poco sopra il palco c’è anche una luna piena di un giallo irreale. Per Vasco Brondi e il suo mini tour “Talismani per tempi incerti” non è però la data dalla cornice più incredibile, se contiamo quelle previste nei giorni seguenti al Teatro Romano di Verona e alla Rocca di Assisi.
L’apertura è affidata a Colombre, che si presenta sul palco in versione voce e chitarra elettrica, accompagnato da un violino e un violoncello. Spaziando tra i brani del recente “Corallo” e del precedente “Pulviscolo”, il cantautore di Senigallia conferma una indiscutibile capacità di scrittura ma gli arrangiamenti che potremmo definire “indie pop da camera” rendono decisamente meno delle versioni su disco, complici anche i volumi bassi e un po’ sbilanciati. Molti nel pubblico ne approfittano per una birra e due chiacchiere con i vicini (distanziati).
Alle 22 in punto sale sul palco Vasco Brondi, accompagnato da tre musicisti: Andrea Faccioli alle chitarre, Daniela Savoldi al violoncello e ai cori, Angelo Trabace al pianoforte elettrico. Si tratta di una formazione quasi altrettanto minimal di quella di Colombre, ma qui gli arrangiamenti funzionano eccome. Dopo una breve lettura di una poesia di Erri De Luca (presentata senza commento), l’apertura è con “A forma di fulmine”. Come previsto le coordinate sonore sono vicine a quelle del tour teatrale del 2018 con cui Brondi aveva dato il commiato al progetto Le luci della centrale elettrica. Si riparte quindi da dove eravamo rimasti due anni fa, ma con alcune differenze importanti: gli elementi ritmici sono limitati a una cassa suonata in alcuni brani da Faccioli, e in scaletta non c’è nessun brano dei primi due dischi, ma una selezione divisa equamente tra le canzoni di “Costellazioni” e di “Terra”, i suoi ultimi due lavori, e ben cinque cover.
“Punk sentimentale” parla di storie di queste parti (“Sapessi com’è strano / Sentirsi innamorati / A Milano Due”), ma sono anche altri i versi che suonano premonitori: “i flussi migratori infiniti”, “i corridoi degli ospedali”. Dagli esordi nel 2007, Brondi ha costruito lentamente un percorso ammirabile che dai fulminanti sketch personali dei primi due dischi, l’ha portato ad essere uno dei pochissimi musicisti in Italia in grado di affrontare discorsi più grandi delle nostre storie individuali, e ce lo ricorda la successiva “Waltz degli scafisti”. Forse è proprio questo di cui abbiamo bisogno, perlomeno l’eterogeneo pubblico che riempie le tribune di cemento dell’Idroscalo: non una serata di evasione da un momento difficile, ma uno sguardo poetico sui tempi presenti.
I talismani per tempi incerti, Brondi lo esplicita, sono proprio la musica e l’arte. “Tutto quello che sembrava inutile perchè non funzionale si è dimostrato fondamentale per passare attraverso i momenti inaspettati”, aveva scritto nella presentazione di questo tour organizzato all’ultimo momento. Presentando “I destini generali”, la descrive come una canzone che parla di tempi “incerti e provvisori come tutti i tempi”. La prima cover è “In viaggio” dei C.S.I., con un arpeggio di pianoforte a sostituire le chitarre distorte. Poi un riuscito medley in cui “Magic Shop” di Battiato si tramuta in “Cronaca montana” dei P.G.R. Intervallata da “Una guerra lampo pop”, c’è la non facile “Oceano di gomma” degli Afterhours, che ci conferma come rispetto solo a pochi anni fa Brondi abbia lavorato molto anche sulle sue capacità vocali.
Un riferimento per questa serata è proprio il recente tour teatrale di Manuel Agnelli e Rodrigo D’Erasmo (anch’esso ricco di cover e letture) ma Brondi è conscio di non avere i mezzi per replicare arrangiamenti così essenziali e i musicisti di stasera lo supportano in maniera perfetta. Anche l’intoccabile “Smisurata preghiera” di De Andrè risulta una scommessa vinta. Qualche stonatura arriverà più tardi in “Padre nostro dei satelliti” e “Stelle marine”, ma non bastano a rovinare l’atmosfera creata, che dopo “Un incontro inatteso” di WisÅ‚awa Szymborska culmina in una bellissima “Chakra” (una delle più belle canzoni d’amore degli ultimi anni, come conferma una larga fetta di pubblico che canta tutto il testo sottovoce) e infine in “Mistica”, tecnicamente il suo pezzo inedito più recente, pubblicato nella raccolta del 2018.
Può essere facile dimenticarlo, ma questo di stasera è in qualche modo un nuovo inizio: uno dei primi concerti in cui il nome in cartellone è semplicemente Vasco Brondi e in cui, l’eredità degli esordi finalmente alle spalle, sembra più leggero e interessato soltanto al presente, come quando si sofferma a parlare dei libri di Byung-Chul Han e dei social network dove “tutto è condiviso ed è bandita la timidezza”. Ci si potrebbe chiedere se questo nuovo Brondi, quello più spirituale che cita Sant’Agostino e va due mesi alle Canarie a insegnare yoga, sia meno interessante di quello che 10 anni fa urlava sopra a chitarre distorte “delle sere a sbranarsi / delle sere a strafarsi”. Il modesto punto di vista di chi scrive è che, se gli perdoniamo quella specie di aureola luminosa posta dietro di lui sul palco, sia oggi più prezioso di allora.
Dopo un paio di minuti, Brondi percorre da solo la lunga passerella che separa i camerini dal palco per un breve bis. Prende il microfono e si siede a bordo dell’acqua: la distanza che lo separa dalla prima fila di spettatori gli ricorda il fossato del castello della sua Ferrara, dice. Poi legge “Ringraziare desidero”, una poesia di Mariangela Gualtieri, la stessa che proprio dal suo studio di Ferrara aveva letto in uno dei frequenti live su Instagram nelle prime settimane di lockdown. Quei quotidiani appuntamenti con i fan, tra cover, letture e riflessioni, erano stati in qualche modo le prove generali di questo mini tour.
Tornano sul palco gli altri tre musicisti e il finale vero e proprio è affidato a “Coprifuoco”: “Cos’è che ci ha fatto inventare / La torre Eiffel, le guerre di religione / La stazione spaziale internazionale / Le armi di distruzione di massa / Le canzoni d’amore”. “L’amore che ci rende impavidi”, recitava la poesia di Mariangela Gualtieri. Cuori impavidi, è il titolo della rassegna di questa sera. Sono le 23.30, la luna si è spostata un po’ più in alto e non è già più così gialla. Ci lasciamo alle spalle l’Idroscalo con in tasca questi piccoli talismani, per molti di nessuna importanza, per noi così preziosi.