Quella dei norvegesi The Slow Painters è una delle scoperte epifaniche che danno un senso alla continua ricerca di nuovi nomi nell’affollata offerta musicale dei giorni nostri.
I ragazzi di Oslo sono attivi dal 2004, ma solo recentemente gli occhi degli addetti ai lavori si sono indirizzati su di loro, e il motivo è semplice: sono magnetici, talentuosi, poliedrici.
Due sono le costanti in questo disco dei The Slow Painters: la ricerca dell’atmosfera sonora, frutto delle loro intenzioni melodiche o di più o meno strutturate armonie, ed una trazione di chitarra elettrica che non azzera un attimo la propria forza motrice, giocando solo su ritmo, velocità ed intensità . Il resto ce lo mettono Andreas W. H. Lindvà¥g e compagnia, con coraggio, ecletticità ed ottimo gusto. Ed un pezzo di mente fissa ai grandi del passato, à§a va sans dire.
Possiamo trovare infatti tanti spunti guitar pop in questo album, uscito in questi giorni ma dalla lunga, lunghissima gestazione, laddove i primi pezzi risalgono addirittura al 2004: il tiro di un ritornello trascinante (e che ricorda i Mando Diao) in “Egon”, la leggera brezza elettrificata di “What I Miss the Most”, la spensierata “Andy & The Androids” con la sua linea di basso contagiosa che strizza l’occhio ai Pixies, le chitarre dissonanti e riverberate di “Parklights” e i droni di “C#” (e in “Happy Murdered” la mente vola verso Mark Linkous); ancora, “About The Holidays” che graffia e carezza con i suoi cambi di tono, passo e registro, il noise ed il lo-fi di “No Teens”, animo e cuore orientati al rock alternativo d’oltreoceano, il jangle a tinte rètro che riesce a prendere quota nella sognante “Gloria”, il sommesso commiato affidato a “Drums and Snare” dove tocca alle note d’arco lenire l’accorata chiusura.
38 minuti e 36 secondi stuzzicanti e gradevoli, per una band che merita tutto il nostro interesse e strappa un plauso convinto.
Credit Foto: Sigurd Fandango