Riecco anche gli Everything Everything al loro quinto album in studio, a tre anni di distanza da “A Fever Dream” del 2017.

Di certo non per tutti i palati, la band di Manchester capitanata da Jonathan Higgs si è dimostrata capace nella propria carriera ormai ultradecennale di dividere critica più o meno specializzata, allo stesso tempo è stata abile a tenere sempre una debita dose di attenzione su di sè.

Riescono con questo “Re-Animator” a coniugare con mestiere e gusto la loro scrittura esistenzialista con impalcature sonore elettrolitiche, luccicanti e sintetiche (per quanto gli arnesi del mestiere analogici ci siano e si sentano eccome), così come non mancano certi agganci catchy più cari al pop che alla sperimentazione (“Lost Powers”, “Arch Enemy”). Abbiamo al contempo incursioni nel prog più nevrotico (la seconda metà  di “Lord of The Trapdoor”) o ancora lenitivi tuffi nel synth-pop più onirico (“The Actor”) e in quello a stampo retro-futuristico (“Big Climb” con il suo refrainWe’re not afraid that it will kill us, we are afraid that it won’t”, o le pulsazioni incastrate di “Planets”).

Lasciamo ad altre penne l’esercizio ginnico di elencare brano dopo brano tutte le somiglianze che l’orecchio recepisce oltre un lustro di musica addietro coi Radiohead post-“Kid A” (“It Was a Monstering”, “In Birdsong”) o con la più recente indietronica (“Moonlight” fa l’occhiolino a Bon Iver).

A conti fatti, il brano migliore del lotto è invero in chiusura con “Violent Sun”: una sezione ritmica incalzante e sognanti corredi sintetici e di tastiera apparecchiano per il cantato di Higgs che esalta il proprio falsetto, sferzante, accorato, vero marchio di fabbrica del frontman mancuniano, in un brano degno di futura memoria.

Un lavoro intrigante e di qualità  che, pur senza particolari scossoni e deviazioni dalla matrice stilistica originale della band, lascia comunque soddisfatti.

Photo by Yaffa Phillips / CC BY-SA