Tra i movimenti che presero piede nel Regno Unito a fine anni ’70, oltre al punk, va rilevata sicuramente anche la nascita della musica industriale (Cabaret Voltaire, Throbbing Gristle, Clock DVA), che già aveva precursori notevoli nella “Welcome to the Machine” dei Pink Floyd (su “Wish You Were Here” del 1975) e nell’elettronica progressiva tedesca. Lo spietato processo di assorbimento di tutto l’abbecedario rock da parte della New Wave non ignorò il fenomeno, e nacquero almeno tre filoni che integrarono le pessimistiche suggestioni della società delle macchine nel fermento creativo del post-punk. L’ala americana si concentrò sull’alienazione, il rumore e lo straniamento della vita di fabbrica durante la guerra fredda (citiamo almeno Pere Ubu e Chrome); quella britannica ne distillò una versione ballabile e nichilista per discoteche alternative, con Gang of Four, A Certain Ratio e Pop Group a fare da pionieri. In Germania i campioni furono gli Einstà¼rzende Neubauten, che aprirono all’avanguardia, al dark cabaret e alla musica concreta.
I Killing Joke di Jaz Coleman rimasero in bilico fra queste sponde e coniarono una particolare forma di dance-punk “industriale” che avrà un impatto imprevisto e incommensurabile sull’industrial metal degli anni ’90 (Ministry, Nine Inch Nails), sull’EBM (Skinny Puppy, KMFDM, Nitzer Ebb) e persino su grunge (Nirvana, Soundgarden) e thrash metal (Metallica). Il loro lavoro d’esordio è uno di quei vini buoni che più invecchiano e più danno soddisfazione agli intenditori.
I classici si sprecano: la meccanica delirante di “Requiem” e “Wardance” apre il disco scoprendo subito l’armamentario. Martin Youth (basso) e Paul Ferguson (batteria) sono i veri artefici di questo sound maniacale e soffocante, tanto da esser facilmente confusi con strumenti campionati o drum-machine. Geordie incalza con riff energetici e taglienti, Jaz Coleman vaticina tra il divinatorio e il demenziale, preconizzando catastrofi assortite: il suo grugnito paranoide invoca un purificante regresso dell’uomo moderno come catarsi salvifica della civiltà .
“Complications” è un’altra inesorabile declamazione a passo di danza, la celebre “The Wait” una possente dichiarazione di guerra. Da quelle sessioni provengono altre due perle che finirono fuori dalla scaletta finale, ma che sono a tutti gli effetti figlie di quel fecondo milieu: il funk-punk di “Change” (lato B di “Requiem”) e l’apocalittico balletto “Pssyche” (lato B di “Wardance”). Sulla copertina del singolo Fred Astaire balla il tip-tap sulle macerie di un olocausto nucleare, e tanto basta a rappresentare decorosamente il lascito di quell’opera prima.
Il resto della carriera dei Killing Joke sarà particolarmente schizofrenica, e può dividersi in almeno tre fasi: quella post-punk, inaugurata da questo esordio, quella più commerciale, certificata da “Night Time” del 1985, contenente i due grandi successi “Love Like Blood” e “Eighties”, e quella più duratura, a partire dagli anni ’90, che li vide tra i principali esponenti dell’industrial metal, alla cui nascita avevano ampiamente contribuito. “Pandemonium” (1994), l’altro autotitolato del 2003 e “Hosannas From the Basements of Hell” (2006) fisseranno le coordinate per una seconda primavera che li porterà a cogliere i frutti delle loro intuizioni giovanili.
Sfruttiamo la ricorrenza per rendere merito a questo gruppo, che a distanza di 40 anni riesce ancora a fare proseliti e a sedurre schiere di sbarbatelli incazzati. Anni fa ho avuto la fortuna di vederli dal vivo in formazione originale, e ammetto che, anche passata la cinquantina, il magnetismo che erano in grado di sprigionare avrebbe fatto arrossire di pudica verginità buona parte delle vecchie glorie loro coeve.
Data di pubblicazione: 5 ottobre 1980
Registrato: Londra, agosto 1980
Tracce: 8
Lunghezza: 35:13
Etichetta: E.G. Records
Produttore: Killing Joke
Tracklist
1. Requiem
2. Wardance
3. Tomorrow’s World
4. Bloodsport
5. The Wait
6. Complications
7. $.0.36
8. Primitive