Con i Baustelle in “fermo biologico concordato” (ipse dixit) ecco l’album solista, il primo, di Francesco Bianconi, sicuramente una delle penne più tenute in considerazione del pop-rock alternativo italiano di questi primi decenni del 2000.
Chansonnier che con le sue creazioni ha fatto innamorare decine di migliaia di ascoltatori più o meno giovani, presenta questo “Forever” come un disco intimo e personale, più scarno e nudo possibile. Con esso stesso messosi appositamente a nudo e senza maschera, dice proprio Bianconi.
Cerca di commuovere subito con “Il Bene”, tra piano di schumanniano incedere ed archi, quelli del The Balanescu Quartet: meno riusciti invece quei prosastici sconfini dalla metrica. La scrittura, del resto, ci conferma il buon gusto del paroliere toscano (per quanto questa prima traccia paia la gemellina di “Nessuno” contenuta in “Fantasma”).
Altrettanto minimal il secondo episodio “L’Abisso”: echi di De Andrè ovunque, inquietudine e decadente angoscia, ma anche un incedere melodico che non pare trovare un proprio climax, dove servono ancora gli archi e tasti più intensi del pianoforte (toccati nel corso dell’album da Thomas Bartlett e Michele Fedrigotti) a dare la vera emozione. E col rischio, per Bianconi, di rimanere egli stesso letteralmente senza fiato.
Il canovaccio sonoro resta simile con “Andante”, certo impreziosita dall’apporto di Rufus Wainwright che si destreggia più che bene con la lingua italiana (sul fenomenale talento di quest’ultimo, non si può discutere) e dove sono gli ottoni, nel finale, ad abbassare le luci del teatro; è invece Kazu Makino dei Blonde Redhead (e c’è Amedeo Pace in cabina di produzione) a trainare la successiva “Go!”, mentre tocca ad un’altra ospite, Hindi Zahra, cullare in arabo la crepuscolare litania di “Fà ika Llìl Wnhà r”, che in chiusura lascia lo spazio per qualche epifanico rintocco di corda.
Della tipica strumentazione più squisitamente pop e di sezione ritmica (basso e batteria), traccia nessuna: scelta sicuramente funzionale a creare l’ambientazione voluta dall’autore ed arrangiatore Bianconi che potesse meglio sposarsi alla propria poesia.
Dopo i piccoli bagliori di “Zuma Beach”, figlia dei giorni spesi in California, Bianconi si alterna e si abbraccia con Eleanor Friedberger in “The Strenght”, per poi passare a “Certi Uomini”, verosimilmente il singolo di punta del lavoro e quello più immediato e radiofonico (al netto dell’uso reiterato del termine “fica“, ispirato da Gustave Courbet, no?), dove si riscopre un certo pathos intorno allo spietato esistenzialismo ritrovato e un citazionismo come al solito più o meno colto (“l’atomo opaco” di memoria Pascoli, ad esempio), e in cui non manca un j’accuse ai “discografici morti della Warner, della Universal e della Sony“. Peraltro etichette sia dei Baustelle da “La Malavita” in avanti (la Warner) che di questo album (la BMG è in orbita Sony).
Di sicuro, sentieri sonori e stilistici non alieni a Bianconi al quale non si potrà contestare una debita resa atmosferica ed emozionale, con il coraggio di portare avanti questo disco dall’andazzo malinconico e decadente, che comunque è certo suo marchio di fabbrica, lungi dall’opulenza e che ben si discosta dai pigli più magnetici (ed “oscenamente pop“, direbbe l’autore) che lo hanno reso grande con i Baustelle, dove Rachele Bastreghi con la propria eleganza e la propria verve e la chitarra di Claudio Brasini sono sempre riuscite a cucire intorno sia l’abito che gli orpelli più adatti a rimanere impressi al maggior numero di anime e cuori possibili.
Il finale da settima arte è affidato prima alla piccola tragedia quotidiana e provinciale di “Assassinio Dilettante” quindi alla strumentale title track.
Per i fan più accaniti, “Forever” sarà sicuramente un capolavoro, un trionfo di toccanti emozioni non accessibili a tutti e non per la massa: chi non lo apprezza, non apprezza la poesia, e non apprezza l’arte, diranno. I detrattori, al solito, saranno ancora più acuminati, pronti ad additarlo di nuovo come poseur, pseudo anti-conformista da salotto dalla scarsa originalità , anche ormai rispetto a sè stesso, ed epigono dei vari Battiato o Gainsbourg.
E allora sarà forse l’ascoltatore più disinteressato e super partes (e probabilmente pure fuori target) a dare un più attendibile giudizio, laddove necessario, su questo lavoro in solitaria di Bianconi.