Terzo capitolo della saga dei Fuzz, progetto creato da Ty Segall e Charles Moothart nel 2011 a cui si è poi aggiunto Roland Cosio al basso oggi sostituito da Chad Ubovich. Breve riassunto delle puntate precedenti: un esordio omonimo ispirato e riuscito nel suo genere, un secondo album tagliente, massiccio e roccioso. “III” arriva dopo cinque anni di relativo silenzio. Regista dell’operazione il sempiterno Steve Albini, una garanzia per band che vogliono essere registrate senza troppi fronzoli.
Sono dei Fuzz cupi e melodici quelli di “III”, fieri fin dalle prime note di “Returning”. “I’m gonna do my thing” dichiarano convinti in “Nothing People” con la linea armonica ossessivamente tenuta da Ubovich e i riff indiavolati della chitarra di Moothart particolarmente in evidenza. Trascinante “Spit” mentre “Time Collapse”, una lunga jam tenace e distorta, tanto deve a Black Sabbath e MC5. La cavalcata continua, diventa sfrenata in “Mirror” con un pizzico di growl e la freak flag che sventola convinta.
“Close Your Eyes” si dipana lenta e robusta tra falsetti e pennate, aprendo la strada allo spirito blues elettrico di una acidissima “Blind to Vines” prima che il cerchio si chiuda con i quasi otto minuti di “End Returning”, altra jam ruvida e furiosa (da non perdere la sezione centrale dal piglio hardcore) in cui Segall si scatena alla batteria mettendo su piatto e rullante la stessa energia dei minuti iniziali.
Non tolgono mai il piede dall’acceleratore i Fuzz in trentasei minuti di onesto rock rumoroso, a forti tinte garage. Trovano in Albini un’anima affine in grado di tradurre e fermare su disco l’impeto di una band che scalpita per tornare su un palco e suonare dal vivo.
Credit foto: Denee Petracek