Flavio Ferri, noto soprattutto per essere stato parte integrante e saliente della fulgida esperienza targata Delta V, sembra stia vivendo una sorta di seconda giovinezza, alle prese com’è con numerosi progetti artistici di varia natura.
In realtà il musicista ormai catalano d’adozione non ha mai smesso in tutto questo tempo di esplorare nuovi territori ove far coincidere una naturale tensione artistica e le sopraggiunte differenti esigenze professionali, che lo hanno visto muoversi in questo campo sotto molteplici vesti: da mago del suono a produttore, da arrangiatore a fine musicista, sempre tenendo viva l’anima sperimentatrice anche in questo nuovo (ed entusiasmante) capitolo da solista, che giunge in fondo a pochi mesi da “Altered Reality”, album a dir poco all’avanguardia nel panorama musicale nostrano.
Un periodo quindi assai prolifico il suo sotto il profilo delle pubblicazioni ma mai come nel caso di questo “Testimone di passaggio” (uscito sotto l’egida dell’interessante label veronese Vrec) ci troviamo veramente davanti a un’opera di sicuro impatto, complessa, acuta, oserei dire rilevante.
E’ il disco in cui Ferri ci mette la faccia, il cuore, la passione ma anche e soprattutto la voce, oltre che le idee musicali che al solito circolano copiose e libere da vincoli di generi o stilemi codificati.
In questa nuova avventura musicale il Nostro ha voluto farsi accompagnare da artisti fidati, non solo ottimi musicisti ma in primis degli spiriti a lui affini, a iniziare da colui che ha corredato di parole il suo vivace magma creativo, vale a dire lo scrittore Luca Ragagnin, già artefice di brani portati al successo da gruppi come i Subsonica.
Ragagnin funge qui da autentico alter ego di Ferri, e il connubio testi/musiche è quanto di più riuscito ed eccitante tra i molteplici lavori messi a referto in questo funestato 2020, non solo soffermandoci ai prodotti made in Italy.
L’apparato musicale proposto da Ferri è in linea con i tempi foschi e bui, per non dire inquietanti, che stiamo vivendo tutti ma non mancano dolci aperture e lasciti struggenti a indicare una possibile, seppur difficile, via di fuga da questa realtà opprimente.
L’uno-due iniziale è di quelli che inchiodano letteralmente l’ascoltatore e lo conducono presto tra i solchi impervi di un percorso oscuro ma dal quale non possiamo rifuggire, in grado com’è di ammaliarci sin dalle prime note di “Beckett”, pezzo musicalmente vivido e raffinato, il cui testo è già un ammonimento su cosa andremo ad ascoltare. Segue la ben più criptica e magnetica “Bambina da canzone”, interpretata magistralmente dall’autore, quasi fosse un monologo teatrale da cui lanciare velate invettive.
Dicevo degli “ospiti” presenti tra le dieci tracce, per lo più illustri e che già il buon Flavio aveva incrociato nel suo cammino; penso ad esempio a Gianni Maroccolo, con il quale ha composto due tra le canzoni più intense del lotto: il mantra programmatico di “Odio”, scelto felicemente come singolo, e l’evocativa title-track, per non dire del sodale (nei già citati Delta V) Carlo Bertotti che co-firma la toccante “Houdini”, a mio avviso l’apice del disco.
Altri episodi vedono la partecipazione in fase di composizione dell’ex Deasonika (e noto produttore) Marco Trentacoste nella ficcante “Moderna”, dai toni sinuosi; di Paolo Gozzetti nella mesmerica e solenne “Scoppio di dio” e coinvolto pure nel pezzo che intitola l’album; di Livio Magnini (ex chitarrista dei Bluvertigo) nell’evocativa e fluida “X Files”, e di Marco Olivotto nell’oscura e trascinante “Le verità roventi”, in cui spicca la melodia più accentuata dell’intera raccolta.
E’ proprio la terza traccia di fatto la più “cantata” dall’autore, laddove in genere lo sentiamo per la maggior parte declamare con forza e grande urgenza comunicativa. “Le verità roventi”, corredata da un video dal sicuro impatto, è inoltre impreziosita dall’intervento ai cori di Olden (protagonista a inizio anno di un magnifico album di stampo cantautorale prodotto dallo stesso Ferri).
Se a questi aggiungiamo gli altri contributi presenti (il nome di Mia Ferri, la cui eterea voce introduce l’ipnotica e vagamente inquietante “Ligeti” vi suona familiare?), il tutto assume i contorni di un album collettivo, ma è chiaro invece come “Testimone di passaggio” sia a tutti gli effetti frutto della visione e del talento di un uomo che sin qui si era sempre messo per lo più al servizio dell’altro.
Ma un artista, e Flavio Ferri indubbiamente lo è nel senso più ampio del termine, sente quando è il momento di dire delle cose e di esprimere le sue speranze e i propri tormenti: c’è chi nel periodo più duro della pandemia non ha perso tempo a rincuorarci dicendo che “andrà tutto bene”, e chi invece come lui ha raccolto attorno a se’ tutta l’energia e la tensione del momento e l’ha tradotta in un album complesso, duro, magari poco rassicurante ma estremamente profondo, ricco e affascinante.
Credit foto: Flavio Ferri