Esattamente quarant’anni fa venne dato alle stampe “Sandinista!”, l’album più mastodontico, caleidoscopico e militante dei Clash di Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon.
36 brani disseminati in tre dischi (ma venduti al prezzo di due) che misero in luce quanto talento debordante e multiforme albergasse in loro, al punto da voler prevaricare ogni confine di genere.
La “patchanka” in fondo può trarre a ragione le sue origini fra i solchi di questo album: è infatti assai complicato sintetizzare le tante istanze che lo animano, non soltanto da un punto di vista prettamente musicale (seppur per una volta, e sembra impensabile per un gruppo dalla forte impronta punk, sia quello l’aspetto preminente) ma pure per la varietà di tematiche, con un forte topic che però campeggia fieramente e ne contorna l’epopea.
I Clash infatti con questo disco vollero omaggiare i sandinisti, uniti in un’organizzazione guerrigliera in Nicaragua, la stessa che aveva contribuito strenuamente a far terminare l’esperienza politica totalizzante dell’allora Presidente in carica Anastasio Somoza Debayle. C’era quindi da parte loro un sostegno e una vicinanza alla causa, oltretutto in un momento storico in Inghilterra che si prefigurava assai buio sotto il regno del Primo Ministro Margaret Thatcher.
L’attitudine dei ragazzacci del rock, che solo l’anno prima avevano dato nuova linfa alla corrente punk con lo straordinario “London Calling”, manifesto irripetibile di un’epoca vissuta pericolosamente e ideale chiusura dei seventies, era rimasta in fondo la stessa ma si manifestava piuttosto proprio nell’eterogeneità del nuovo lavoro, nel loro voler essere “liberi” di esprimersi e di agire secondo l’input più idoneo per ogni singolo episodio.
Dicevamo dell’abbattimento di generi, fattore evidente sin dall’ascolto delle prime tracce e altresì determinante per far storcere il naso ai fans della prim’ora e in genere a chi aveva amato i brani diretti e appassionati del disco precedente.
Ci sono molte divagazioni in effetti nei nuovi brani, con l’elemento reggae che diviene familiare e carta vincente in episodi come il ficcante “One More Time” o in quel magnifico rifacimento di un classico di New Orleans che risponde al nome di “Junco Partner”. Quest’ultimo figura come terzo brano in scaletta, seguendo la briosa “The Magnificent Seven” (caratterizzata da suoni funky e il cui canto muta in un rap ante litteram) e l’irresistibile “Hitsville U.K.”, che sembra provenire dalla lontana galassia Motown, intessuta com’è di una melodia sixities calda e ariosa.
Non ci sono, almeno in questa prima parte, dei pezzi simili ad altri, basti confrontare l’ondivaga “Ivan Meets G.I. Joe” con la successiva “The Leader”, programmatico e irriverente divertissement rockabilly; la beatlesiana “Something About England” – volutamente enfatica – con il valzer “Rebel Waltz”; e a seguire, in un vorticoso giro alle giostre, ecco in fila “Look Here”, dal piglio swing, la marziale marcia di “The Crooked Beat”, la melodia rock di “Somebody Got Murdered”, una delle poche figlie del suo tempo (assieme alla potente “Police On My Back, perfetta rebel song in cui emerge l’anima di Strummer) e la già citata “One More Time” che poi vira in territori dub con la propria versione relativa.
Non sarà l’unica eccezione in tal senso, visto che poi lungo “Sandinista!” troveremo altre canzoni rivestite di sonorità dub, grazie anche all’apporto del producer giamaicano Mikey Dread: la fondamentale “Washington Bullets” (il cui coro cita il titolo dell’opera), apertamente politica con i suoi richiami a personaggi vittime dei regimi, diventa così la strumentale”Silicone On Sapphire”, mentre “Version Pardner” si ricollega direttamente a “Junco Partner”.
I Clash, l’abbiamo capito, con questo album non avevano certo timore di osare, e poterono permettersi pure degli autentici esperimenti, alcuni invero bizzarri, come l’inserimento in scaletta di “Career Opportunities”, già pubblicata nel loro disco di debutto omonimo del 1977 e qui interpretata dai piccoli Luke e Ben, figli del tastierista Mick Gallagher. E che dire dello strumentale un po’ inquietante “Mensforth Hill”, esecuzione al rovescio di “Something About England”?
Forse in questi casi l’operazione apparve forzata ma rientrava a ben vedere nello spirito anarchico del progetto, che poi risulta impreziosito da alcuni episodi assolutamente imprescindibili del loro intero percorso artistico, quali la trascinante e sarcastica “Charlie Don’t Surf” (che i nostrani Baustelle molti anni dopo faranno riecheggiare in uno dei loro più celebri singoli), la saltellante chiamata di “The Call Up” e la raffinata fattura di “Broadway”. Una curiosità riguarda quest’ultima interessante traccia: la bambina che si sente intonare alla fine alcuni versi di una canzone già inserita in “London Calling” è Maria Gallagher, figlia del già citato Mick.
Iconica e coinvolgente è indubbiamente anche “Lose This Skin”, il cui canto liberatorio è del violinista Tymon Dogg, che suonava già con Strummer nei 101’ers.
In un tripudio di atmosfere e sonorità , emergono purtroppo a fatica alcuni strumenti che, se meglio valorizzati avrebbero potuto fare la differenza ma in ogni caso piacciono le incursioni dei violini nella spiazzante “The Equaliser” e del sinuoso sassofono nella vibrante “If Music Could Talk”.
Tutto questo viene declinato in due ore abbondanti di musica (si superano i 140 minuti!) e ammetto non sia semplice gustarsi il disco dall’inizio alla fine, laddove col senno di poi certi inserimenti appaiono dettati più da un’irrefrenabile fregola comunicativa che non da una chiara e precisa inclinazione artistica.
E a distanza di quarant’anni è proprio questo aspetto che muove ancora parte della critica a definirlo un capitolo in ogni caso controverso della band e non quel capolavoro autentico e ispirato, come invece sostenuto da una vasta frangia di sostenitori.
La verità come sempre in questi casi sta probabilmente nel mezzo: di certo però “Sandinista!” è il lavoro che più di tutti ha messo in luce la vitalità , la creatività e l’originalità dei Clash, i quali attingendo a mezzo secolo di musica hanno volutamente e ostinatamente scansato la corrente che più era in voga in quel periodo storico e che presto avrebbe cannibalizzato il primo lustro degli anni ottanta.
Clash ““ Sandinista!
Data di pubblicazione: 12 dicembre 1980
Tracce: 36
Lunghezza: 144:28
Etichetta: Epic Records
Produttori: The Clash
Tracklist
1. The Magnificent Seven
2. Hitsville U.K.
3. Junco Partner
4. Ivan Meets G.I. Joe
5. The Leader
6. Something About England
7. Rebel Waltz
8. Look Here
9. The Crooked Beat
10. Somebody Got Murdered
11. One More Time
12. Ore More Dub
13. Lightning Strikes (Not Once But Twice)
14. Up In Heaven (Not Only Here)
15. Corner Soul
16. Let’s Go Crazy
17. If Music Could Talk
18. The Sound of Sinners
19. Police On My Back
20. Midnight Log
21. The Equaliser
22. The Call Up
23. Washington Bullets
24. Broadway
25. Lose This Skin
26. Charlie Don’t Surf
27. Mensforth Hill
28. Junkie Slip
29. Kingston Advice
30. The Street Parade
31. Version City
32. Living In Fame
33. Silicone On Sapphire
34. Version Pardner
35. Career Opportunities
36. Shepherds Delight