La parola dei lettori è tutt’altro che secondaria. Ecco perchè ci piaceva raccogliere le vostre opinioni sull’anno che sta terminando, chiedendovi (sulle nostre pagine Facebook e Instagram) di contribuire con una vostra personale classifica dei migliori dischi del 2020. Alla luce di quanto ricevuto, assegnando dei punti precisi in base alle vostre posizioni, ecco il risultato che ne è scaturito. Grazie a tutti per la numerosa partecipazione!

Guarda la classifica della redazione di IFB de I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2020

#10) BDRMM
Bedroom
[Sonic Cathedral]
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Ascoltando questo magnifico esordio ci sembra davvero di ritrovare quelle magnifiche sensazioni che abbiamo sperimentato assaporando il primo disco dei Ride. Non parlo tanto nei suoni, che a tratti si possono accostare ma in realtà  sanno anche distanziarsi a dovere, quanto proprio in quello smottamento emotivo che ci cattura fin da subito. Le onde della copertina dell’ esordio dei Ride, quelle che battevano sul nostro cuore e ci scivolavano nel profondo, sono anche qui, tra i solchi di un album da pelle d’oca, vulnerabile, malinconico e dannatamente coinvolgente.
(Riccardo Cavrioli)

#9) MATT BERNINGER
Serpentine Prison
[Concord Records / Caroline International]
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Ci sono personalità  come Harrison Whitford (sempre legato all’ultimo album di Phoebe Bridgers), come Matt Barrick, come Sean O’ Brien dietro a questi 41 minuti di musica, c’è tanto impeto sintetizzato in toni e melodie malinconiche, come questo debutto da solista pretendeva. 41 minuti di calma, 41 minuti per poter fare l’amore, per pensare, per piangere, per ballare, in compagnia o magari da soli, come fa il cantautore nel video di “One More Second”, con le sue scarpe eleganti (che rimandano alla versione disegnata del suo alter ego in copertina) e la sua apparente nonchalance, che poi è più una consapevolezza calma, un rispettoso racconto dei sentimenti, irremovibili e solenni, pur essendo disperati. Non so dove mi trovo passati questi 41 minuti e forse l’ultimo me lo lascio per rimanere in silenzio. Non so dove, ma so che da qualche parte mi sento accolta.
(Naomi Roccamo)

#8) BRIGHT EYES
Down in the Weeds, Where the World Once Was
[Dead Oceans]
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Non credo sia necessario spendere altre parole per questo album, insieme al prossimo è stato il lavoro che ho più ascoltato in questo anno maledetto, per un semplice motivo non stanca mai.
Conor Oberst riunitosi con i suoi vecchi compari dà  il meglio di se e dimostra che il suo grande talento si trova a suo agio soprattutto nella casa dei Bright Eyes.
Questo album è un piccolo “The Queen is Dead”, una serie di pezzi gioiello che la voce meravigliosa di Conor e suoi bellissimi testi rendono brillantissimi.
Caro Conor mi raccomando continua così.
(Fabrizio Siliquini)

#7) BOB DYLAN
Rough and Rowdy Ways
[Columbia]
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Questo nuovo lavoro non è quel capolavoro di cui molti si sono affannati a declamare dopo due ore dall’uscita, ma un lavoro riuscito che merita un 7 pieno.
(Corrado Frasca)

#6) SOPHIA
Holding On / Letting Go
[The Flower Shop Recordings]
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Non so se ai fan di vecchia data questo album farà  storcere il naso in un atteggiamento tipico e spesso stucchevolmente snob, ma, per come la vedo io, i Sophia fanno centro, mettendo in questo lavoro un pizzico di (in)consapevole e misurata voglia mainstream, che qui diventa un valore aggiunto (ma non sempre accade) e che li ripropone ancora una volta protagonisti della scena musicale indie.
(Corrado Frasca)

#5) PROTOMARTYR
Ultimate Success Today
[Domino]
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Anche “Ultimate Success Today”, così come i suoi predecessori, è un lavoro solido e di ottima qualità  e mostra come i Protomartyr abbiano cercato e voluto evolversi, aggiungendo senza paura nuovi elementi e toni al loro suono. Effettivamente, come ci ha detto Casey pochi giorni fa durante la nostra intervista, cinque album in dieci anni sono una buona media, soprattutto quando il livello dei suddetti LP è così elevato. La nostra speranza è che il futuro della band di Detroit continui a riservarci altri episodi di buon valore come questo.
(Antonio Paolo Zucchelli)

#4) THE STROKES
The New Abnormal
[Cult Records/RCA ]
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Anche la doppietta iniziale “The Adult Are Taking” e “Selfless” è notevole quanto efficace, un inizio di quelli importanti, o una rumorosa ed elegante “Not The Same Anymore” sul finire, ma potrei anche citarle tutte le nove canzoni di un disco diretto, senza riempitivi, prodotto benissimo, scegliendo sempre, com’è nelle loro corde, la strada più semplice, con le accantonate chitarre di questi ultimi anni moderni a fare da attrici protagoniste, una album pieno zeppo di belle canzoni, che di questi tempi è merce rara, quindi: cos’altro chiedere di più?
(Fabio Campetti)

#3) DOVES
The Universal Want
[Virgin/EMI]
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Un ritorno atteso e che definire soddisfacente, è dire poco. I componenti della band di Manchester dimostrano di non essere affatto dei riservisti, “The Universal Want” impressiona per coesione e gioco di squadra, ed è dimostrazione che alla classe, quella vera, il tempo può servire per affinarsi ed esaltarsi, per cercare qualità  in nuove avventure e nuovi sentieri, non di certo per invecchiare sui ricordi dei tempi che furono.
Welcome Back, Doves.
(Anban)

#2) IDLES
Ultra Mono

[Partisan]
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Essere sè stessi paga. Gli IDLES stanno conducendo un’orda di persone di buon cuore incazzate sulla cima del mondo per riversare di sotto tutte le proprie rimostranze.
(Do you hear that thunder? That’s the sound of strength in numbers.)
Questi sono i nuovi slogan coniati dal basso, non da uno studio di marketing pubblicitario. La voce è la nostra, il ritmo è irresistibile, la potenza è verace, distruttiva e costruttiva all’unisono.
Gli IDLES sono i pionieri di un nuovo mondo e di un nuovo genere musicale, entrambi molto simili alle ceneri dalle quali stanno sorgendo.
(Federico Guarducci)

#1) FONTAINES D.C.
A Hero’s Death
[Partisan Records]
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Come pensate possa essere la fine di un eroe? Gelida, vuota, buia, una stretta nichilista lunga circa 47 minuti attorno tutto ciò che pensiamo sia importante, ma che, invece, ha già  il non-sapore della morte dentro di sè. Finchè apparterremo alle nostre vite iper-tecnologiche, alle nostre carriere aziendali, ai nostri simulacri social, non potrà  che essere così.
(Mik Brigante Sanseverino)

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Credit grafica: Luca Morello (Scismatica)