è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor“, di “Iosonouncane meno male che esisti“, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni“, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

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ANDREA LASZLO DE SIMONE
Vivo

Ciao Andrea, ti amo anche oggi come ieri. Non di più, non di meno: sono arrivato ad un punto di saturazione tale che troppo amore potrebbe stuccarmi, mentre trovo impossibile la parabola discendente di un progetto che è già  diventato paradigma, punto di partenza della ricerca stilistica di tanti emergenti che, nel manierismo elegante di De Simone, hanno trovato spunto e tempra per recuperare (e talvolta, scoprire) il passato proiettandolo nel presente. Ho usato il lemma manierismo perchè mi sembra opportuno ed intellettualmente onesto cercare di dare una dimensione interpretabile (e funzionale, per noi amanti delle categorie e delle terminologie inutili) a quell’opera di minuziosa e filologica ricostruzione della tradizione, priva (e qui sta la virtù, che non cede al virtuosismo auto-celebrativo) di qualsiasi tipo di astuta e piacciona ricombinazione degli elementi, fedele alla riproposizione dello stile elegante ed intenso della canzone italiana tradizionale senza timore nè riverenza alcuna – perchè l’amore quello sincero e puro, non conosce esitazione. Ecco, nell’ascoltare “Vivo”, stamattina, ho pensato alla “Canzone dell’amore perduto” (ma solo perchè la progressione d’accordi, su per giù, è la medesima), a Bindi, Lauzi, Tenco e una scorta di autori che adoro e che sembrano essersi re-incarnati nella penna ispirata di Andrea che, come il braccio armato di una retrospettiva rivoluzione estetico-culturale, riporta fedelmente (e quasi senza mediazione alcuna, verrebbe da dire) il suggerimento della Musa. Al di là  della caratura poetica del testo – che si fa solito compendio di piccole perle riflessive, quasi aforistiche, di sopravvivenza quotidiana -, la grandezza di Andrea si misura, a livello storico-culturale, nell’operazione di recupero spontaneo di sonorità  che sembravano essersi perse per sempre nell’estrema liquidità  di un’ostinata quanto isterica ricerca di un “nuovo” a tutti costi, sempre più sciapo quanto capace di sfamare (ma solo per la durata di una settimana) la bulimica e disorganica ricerca di diversità  del consumatore moderno, vittima e carnefice del declino (mi si perdonerà  la sana dose di matusalemmico moralismo con cui sto allegramente – oddio, allegramente non so – condendo il mio bollettino di oggi) contemporaneo. Ecco, di fronte al nuovo che avanza (nel senso di sovrabbondanza, saturazione e, permettetemelo, disgusto) Andrea ripropone l’immortale luminosità  di ciò che è stato, e che continua ad essere, brillando. E, francamente, trovo esistere ben poca musica, oggi, capace di esercitare una funzione “educativa” sul pubblico smemorello nostrano nella direzione di una gusto consapevole e attivo – che sappia farsi “ascolto” partecipato – come quella che intrinsecamente, spontaneamente, scorre tra le venature musicale di ogni dolorosissimo e catartico inno alla vita di Andrea Laszlo De Simone.


MADAME feat. FABRI FIBRA
Il mio amico

Madame, che ve ne siate resi conto o no, è uno dei crack della nuova musica italiana. E se non ve ne siete ancora accorti (distrattoni che non siete altro!), fra un paio di mesi sarete costretti a farlo per mano di giornali, teleschermi e smartphone, che già  non vedono l’ora di infiammarsi nel commentare l’evento musicale italiano per eccellenza, quel Festival di Sanremo che pare volersi proporre come alternativa alla sua forma più tradizionale di “contenitore necrofilo” per aprirsi alla ben più ammiccante struttura di playlist editoriale (Indie Italia a Sanremo!) a palco aperto. Ecco, per evitare che la bontà  e la lungimiranza della vostra personale scoperta di Madame derivi dalle scelte di Amadeus, cogliete l’opportunità  di poter dire, a momento debito, “la seguivo dai tempi del bollettino di Indie For Bunnies” anche se, a onor del vero, la giovanissima artista romana occupa da tempo posti di primo piano sui rotocalchi dell’informazione italiana – e con merito. “Il Mio Amico” lascia trasudare la sensazione che non esistano foglie che cadono senza provocare terremoti (diceva un saggio indiano; o forse no?) e che, di certo, la consapevolezza di essere a diciott’anni tra i BIG della kermesse musicale più celebre del Paese (oltre che tra la segnalazioni importanti del bollettino più spocchioso del web) sembra aver lasciato il segno sulla nuova rotta tracciata da Madame a due mesi dalla gara: la deviazione, rispetto alla produzione passata, è tutta verso il pop, attraverso un’impostazione vocale e melodica (melodia! Ah, l’intramontabile fascino del lirismo”…) che ammicca alla scena (ex) underground nostrana, con riferimenti specifici a Psicologi ed echi di Pinguini Tattici Nucleari che, nelle barre very cool di Fabri Fibra, si rivestono della dignità  rap a cui – almeno, fin qui – sembra sempre aver ambito Madame. C’è chi può dire “commercializzazione” (di cosa, di ciò che già  era, seppur con gusto, prodotto per la massa?), chi grida già  allo snaturamento del progetto. A me, questa nuova veste di Madame, piace tanto. Ma si sa, tra poche settimane l’unica cosa che conterà  sarà  il televoto.


CIMINI
Innamorato

CIMINI a me piace molto, e in maniera crescente. Avevo già  avuto modo di dichiarare il mio impegno d’amore nei confronti della sua rinascita musicale in occasione dell’ultimo singolo del cantautore calabrese, che oggi con “Innamorato” conferma le belle sensazioni destate nel 2020 da “Scuse”. Il brano si muove in maniera compatta sul leitmotiv di una dichiarazione semplice, priva di artifici retorico-stilistici e di appesantimenti musicali forzati: perchè l’amore – quello sincero – ha bisogno di poche parole per essere pronunciato, riducibili all’ossatura minima di un “ti amo”, o di un “mi sono innamorato di te” (cit. tenchiana? Ma sì, mettiamoci la punta d’intellettualismo spicciolo che tanto piace a me quanto piace a voi, radical chic che non siamo altro). L’andamento del brano conferma la possibilità  di collocare CIMINI nel contesto che da sempre gli appartiene: quello di un cantautorato che sa essere leggero senza disimpegnarsi, nel percorso di labor lime che porta l’esuberanza giovanile a farsi espressione controllata di un pensiero (emotivo e musicale) più maturo, e consapevole. Bene, benissimo così.


FLOP

Che vi devo dire, i FLOP settimanali sembrano essere rimasti agli avanzi di Natale ’20. Torneranno. Per ora godiamoci il momento.

SEZIONE VIVAIO

Di fronte al nuovo che avanza ritrarci non è più possibile, se non assumendocene le pesanti responsabilità  generazionali; ecco perchè abbiamo bisogno oggi di dedicarci ai polmoni di domani, che hanno bisogno di ossigeno e di speranza. Nasce per questo la “Sezione Vivaio”, con le nostre segnalazioni dei più interessanti emergenti di giornata: solo i migliori fiori che la gioventù, come direbbe Fossati, fa ancora crescere per le strade.

FRIDA, Era triste Bologna

Interessante il nuovo singolo di Frida per Luppolo Dischi, che come in passato ritrova il supporto di Molla nella produzione di un brano che sa di nostalgia, ricordo e accettazione. “La musica come terapia” sembra essere il sottotitolo e l’istruzione d’uso di “Era Triste Bologna”, utile a ricucire – ma solo un po’ – gli strappi di un passato che ha fatto a pezzi il cuore, e che ora diventa monito per il futuro di tutti. Tanta sincerità , un ottimo timbro vocale e un testo ben costruito fanno volare la ballad della cantautrice pugliese, in attesa di un disco d’esordio che confidiamo possa stupire tutti.

NONNOMATTIA, Pianto

Chi sei, Nonnomattia? Come ti viene in mente di fare un pezzo del genere? Ma sei pazzo? Non hai paura della calunnia di un movimento underground sempre più seduto sulla calibrazione delle parole giuste, utili a non spostare l’interpretazione dell’ascoltatore e a non incrinare la sua stabilità  emotiva nella direzione di un appiattimento generale che non ci stupisca nè sconvolga mai? Ecco, io Nonnomattia non lo inserisco qui per la caratura del suo primo singolo pubblicato, che di per sè presenta una germinalità  tale da non potermi far sbilanciare sulla reale ispirazione di un progetto che ha bisogno di chiarificarsi nei suoi intenti (ma siamo solo agli esordi, e il tempo è dalla parte del Nonno) per risultare “credibile”; Nonnomattia è tra le mie segnalazioni perchè, piaccia o non piaccia, “Pianto” ha spostato gli equilibri del mio venerdì attraverso il coraggio di una “scelta” che, se saprà  concretizzarsi nelle sue premesse divergenti, smetterà  di apparire folle per farsi rivoluzionaria.

MINAPER, Agosto

Minaper tira fuori dal cilindro un nuovo sussulto di qualità , che per scrittura e intenzione sa districarsi bene tra i riferimenti al cantautorato femminile più ispirato (in primis Maria Antonietta, con echi di Levante) senza precludere allo sguardo la prospettiva di farsi contaminare dalla tradizione. Il gioco di voci e controcanti inspessisce l’emotività  di un brano giusto, intenso, ben costruito e funzionale a confermare la cantautrice tra i nomi da seguire per il 2021.

AMA IL LUPO, Vita da cane

Vabbè, a me Ama il lupo fa impazzire e già  lo sapete. Poi, se il suo nuovo brano, dal solito caustico retrogusto nichilista, parte con quell’incedere armonico che un po’ ricorda “Sparring Partner” di Conte e le invettive al mondo e alla vita di Piero Ciampi – declinate nella forma più moderna e contemporanea possibile – allora il risultato (almeno, quello esercitato su di me) non può che essere convincente. Sì, ma questo benedetto disco quando esce?!

CORTESE, Febbre

Anche Cortese è un progetto che ormai mi sta a cuore: idee giuste e parole efficaci per raccontare la dimensione emotiva di una penna sensibile, capace di mettersi a nudo senza rendere, a tutti costi, artificiosa e costruita la propria nudità . “Febbre” sa di pop vecchia scuola, a dimostrare che la sincerità  non invecchia mai: bello il ritornello, semplicemente incisivo senza farsi a tutti costi ammiccante, pregevole la scrittura ispirata delle strofe capaci di accompagnare la climax di un brano che riesce ad esplodere con efficacia, senza saltare in aria in mille pezzi. Bello, bravo.

CAFFELLATTE, Serpenti

Che dire di Giorgia e del suo nuovo singolo “Serpenti”; a saltare all’orecchio – sin dai primi passi dell’ascolto – è l’abilità  autorale della cantautrice, che attraverso un sapiente utilizzo delle parole riesce ad imbastire attraverso la scrittura una texture densa di significato e di ritmo: in un certo senso, la ricchezza musicale del brano trova la propria forza negli incastri testuali di un labor lime efficace, mirato a selezionare gli elementi giusti (a livello di puro vocabolario) e utili ad inspessire la trama ritmica di un singolo che convince. Tanti riferimenti alla scena contemporanea (dai Coma Cose a Madame), interessante l’utilizzo dell’autotune a livello espressivo; inevitabile annoverare anche Caffellatte tra i nomi da non perdere d’occhio sin dagli albori di questo nebuloso nuovo anno di musica.