Oggi, 15 febbraio, esce il nuovo lavoro degli Eversor. Si avete letto bene. Eversor. Io faccio fatica a continuare a scrivere, perchè l’emozione mi blocca le dita sui tasti. “Breakfast Club” è del 1998. Sembra ieri e invece sono già passati 23 anni. Il gruppo di Pesaro ha fatto da colonna sonora a un pezzo importante della mia vita, quando post-hardcore ed emo-core sapevano catturare pensieri e batticuori, ma so di non essere certo l’unico a pensarla così. Quei ragazzi avevano trovato la formula magica, avevano le chiavi per aprire i lucchetti delle mie battaglie emotive, sapevano farmi urlare tanto quanto tremare come una foglia. Che ricordi. E tutto riaffiora ora, risentendo queste nuove canzoni e rivedendo quel nome, “rinato” per l’affetto che tutti noi abbiamo vero Marco Morosini, colpito nel 2019 da emorragia cerebrale. L’abbiamo passata Marco e mi sembra di vederti sorridere a questi 3 che ti dicono che vogliono riprendere in mano il nome Eversor. Sorridere con l’emozione che ti fa bagnare gli occhi. Come a noi. Come a me, mentre scrivo questo righe e rileggo la chiacchierata con il gentilissimo Lele Morosini. “Closer” è il 12″ che segna il ritorno di una band fondamentale: 4 brani che riprendono un discorso già ben conosciuto e lo elevano ancora di tono, perchè gli anni che passano non hanno inaridito una vena musicale così ricca, anzi, l’anno valorizzata.
Dirvi che questa è una delle mie interviste più belle ed emozionanti è superfluo…
Ciao Lele, come va? Ovviamente il primo pensiero è per Marco. Come sta?
Bene grazie Rick, Marco è a casa ormai da diverso tempo circondato dall’affetto della sua famiglia e degli amici. Le difficoltà non sono poche, specie in questo periodo di reclusione che non aiuta nè la parola nè l’aspetto motorio ma ci sono anche importanti e significativi miglioramenti che ci fanno ben sperare.
Non ti nego l’emozione di rivedere il nome Eversor che fa bella mostra di sè sulla copertina di un disco. Immagino che dopo tutti questi anni l’emozione sia forte anche per te. Com’è nata l’idea di comporre nuovi brani sotto quel nome comune?
L’idea è nata una sera d’inizio settembre in cui ci siamo ritrovati con Valentino, il batterista degli Eversor, a casa di Marco. Il nostro desiderio era di rivederci in sala prove, stare assieme e cercare di stimolare Marco suonando i brani con cui eravamo cresciuti, ma le restrizioni dovute alla pandemia e la sue condizioni ancora critiche non ci hanno aiutato. Io e Vale abbiamo comunque continuato a suonare e con l’aiuto di Luigi Selleri al basso (Suburban Noise/June and the Well) abbiamo deciso di dedicargli un progetto. Avevamo qualche idea e tanto entusiasmo e ci sembrava che le sonorità rispecchiassero esattamente quelle degli Eversor. Così con il benestare di Marco e qualche risata collettiva abbiamo deciso di proseguire in quella direzione usando quel nome.
Quello che emoziona è vedere come Marco, pur non presente nella line-up del disco, sembra un vero e proprio membro aggiunto. Una figura che permea interamente il disco, sbaglio?
Senza Marco non sarebbero mai esistiti gli Eversor, quindi è naturale che la sua sia stata una presenza importante e insostituibile durante tutto il percorso. Era sempre ben aggiornato sullo sviluppo dei brani e quando si è presentato in sala d’incisione è stato emozionante, commovente e ci ha dato la giusta determinazione per completare il lavoro.
Per la nuova uscita degli Eversor c’è stata una vera e propria “raccolta” di etichette e l’intervento caloroso di sostenitori (penso anche ad Alessandro Baronciani: quanto può dare i brividi un sostegno e un affetto simile?
Lasciami dire che l’affetto e l’amore che ha travolto Marco da parte di tutta la “scena ” durante tutta la sua lunga degenza in ospedale è stato quanto di più edificante ci possa essere in natura. E quando al termine delle registrazioni ho chiesto agli amici più cari se fossero stati disposti a produrre il disco, ho avuto risposte immediate ed entusiaste da tutti. Sapevo che Ale Baronciani avrebbe voluto fare una copertina degli Eversor e ne sono stato assolutamente lusingato. Ci conosciamo da tantissimi anni ma c’incontriamo di rado e questa è stata una splendida occasione per risentirci e riavvicinarsi.
Parliamo di queste 4 canzoni. Rispolverare il nome Eversor vi ha messo un po’ di pressione, anche ripensando alla grande stima e al grande affetto ricevuto da album come “September” e “Breakfast Club” o tutto è stato così naturale che non ci avete fatto caso?
No è stato tutto molto naturale, nessuna pressione e soprattutto nessuna pretesa se non quella di distrarci e divertirci con i nostri strumenti in un periodo surreale come quello che stiamo vivendo e ovviamente di condividerlo con Marco. Quando senti che i brani nascono in maniera così spontanea, ti accorgi che sono il risultato di ciò che hai dentro: tensioni, amarezze, speranze, disillusioni, e credo funzionino perchè non c’è nulla di costruito, nulla di artefatto e nella struttura ci ritrovi solo la tua passione e i tuoi sentimenti.
Nei nuovi brani c’è il piglio più carico, i ritornelli che entrano in testa, l’approccio emozionale che vi ha sempre contraddistinto, ma anche una encomiabile eleganza, come se il tempo passato avesse smussato ancora un po’ di più gli angoli del vostro suono, senza intaccare la qualità . Che ne pensi?
Che analisi brillante, ci stai sopravvalutando un pò troppo ahaha…ritengo che sì, le sonorità siano molto simili a quelle degli ultimi dischi degli Eversor ma con vent’anni in più, vent’anni di esperienze, nuove influenze, concerti e soprattutto tanti anni di Miles Apart davvero molto importanti. Sono canzoni che nascono senza una forma o una costruzione predefinita e giuro, non saprei farti un’analisi accurata dei pezzi perchè li interpreto da un punto di vista più emotivo.
“Hold The Rain” è davvero da lacrimoni: mi fa venire in mente tante band che adoro, di cui non ti sto a fare l’elenco per non tediarti. Tu avevi qualcuno in mente o qualche riferimento in fase di scrittura?
No, nessuno in particolare, ovviamente concorrono alla nascita del brano tutte le tue influenze musicali recenti e non. Riverso sulle corde lo stato d’animo di quel determinato momento, di quella giornata particolare e il brano qualche volta esce con la massima spontaneità . Adoro certe sonorità british che vanno dagli Smiths ai Gene, dai New Order ai Marion. Io non me ne accorgo ma probabilmente il mio apporto per certe risonanze è evidente.
Dopo un disco così, con queste motivazioni così forti nel farlo e nel suonarlo, quanto forte consideri il valore empatico, curante e di sostegno della musica?
E’ fondamentale perchè come tante forme d’arte è lì a tenderti la mano nel momento in cui ne hai più bisogno come la sceneggiatura di un film, un libro, un quadro, un verso di una poesia. Alleggerisce la realtà e scalda il cuore e scusate se è poco.
E’ successo qualcosa in studio che ricordi con piacere e che, magari, ogni volta che ascolti queste nuove canzoni, emerge?
La visita di Marco in studio è stata entusiasmante, anche perchè il Castriota Studio di Senigallia è parte integrante della nostra vita, ci abbiamo registrato la maggior parte dei lavori degli Eversor e dei Miles. Appena entrato era visibilmente commosso, poi mentre registravo le chitarre, alle mie spalle sentivo solo risate.
Se dovessi andare a ripensare al momento più bello e a uno invece meno felice degli Eversor negli anni ’90 a quali episodi andrebbe la tua mente?
Di momenti felici e importanti ce ne sono stati tanti, non riuscirei a dirtene uno solo: la prima volta all’estero nel ’92 a Francoforte con gli Into Another accompagnati da Sergio Milani, la registrazione di “Friends” con la supervisione di Giampiero Capra e Marco Brunet dei Kina, la Two Days of Struggle di Padova del 96 e i due tour in Giappone, sono ricordi che ci hanno formato e che non dimenticherò mai…il momento più difficile è stato sicuramente l’abbandono forzato di Valentino, costretto e ritirarsi per una tendinite importante al polso sinistro. Fu veramente un duro colpo. Io e Marco decidemmo di proseguire a suonare ma per rispetto nei confronti di Valentino cambiammo nome in Miles Apart e trovammo fortunatamente un altro batterista straordinario, Luca Bartolucci che considero un fratello e con cui abbiamo condiviso esperienze meravigliose.
Non solo sei un ottimo musicista, Lele, ma è sempre piacevole chiacchierare con te di musica in generale. Se dovessi consigliarci 3 band che nel 2020 ti hanno colpito cosa ci diresti?
Oddio Ricky, non seguo minuziosamente le uscite discografiche, ti direi comunque “Throes of Joy in the Jaws of Defeatism” dei Napalm Death perchè non finiscono mai di sorprendermi, “Been Around” di A Girl Called Eddy, disco elegante e raffinato consigliato da un pusher di fiducia che dovresti conoscere bene ahaha e Rain or Shine, e qui slitto di qualche mese al 2021; un altro progetto dedicato a Marco che ho avuto l’onore di condividere con Diego Cestino e Andrea “x” Ferraris degli storici Burning Defeat e Luca dei Miles Apart, un 12″ di puro hardcore vecchio stampo stile Dag Nasty che vedrà la luce tra poche settimane.
Ma dimmi la verità : non ci fosse stata la pandemia ti sarebbe piaciuto portare queste canzoni live?
Sarebbe un sogno. Tuttavia la setlist è già pronta; brani da “Friends”, primi singoli, “September” e “Breakfast”, e ovviamente da “Closer”. Non appena si potrà , saremo pronti e belli carichi.
Grazie ancora Lele per la tua disponibilità . Naturalmente in conclusione emerge una domanda doverosa. Pensi che “Closer” rimarrà un’uscita estemporanea o potrebbe anche esserci un seguito?
E’ difficile fare previsioni in questo periodo angoscioso. C’è sicuramente la voglia e l’entusiasmo di portare avanti quest’avventura nata un pò per caso e vista la splendida sinergia che si è creata tra noi sarebbe un peccato perderci di nuovo. Dal momento che sognare non costa nulla, vorrei vedere Marco tornare a suonare il basso e Luigi alla seconda alla chitarra…sarei la persona più felice del mondo!
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l’EP “Closer” esce (ed è recuperabile presso) grazie a: Assurd Record, Green Records, Bagni Elsa N º3, Waterslide Records, Hellnation