Se siete amanti del cinema horror, probabilmente conoscerete a memoria ogni singola scena dei classici diretti da John Carpenter. Un maestro della settima arte che, a cavallo tra gli anni ’70 e ’90, ci ha regalato una sfilza impressionante di capolavori: il primo “Halloween”, “La cosa”, “Il signore del male”, “Essi vivono” e “Il seme della follia”. E mi sono limitato a citare solo alcuni tra i più noti, perchè altrimenti la lista sarebbe lunghissima.

Con un curriculum del genere, vi chiederete voi, com’è possibile che il nostro idolo, da qualche tempo a questa parte, sia stato dimenticato dalle grandi case di produzione hollywoodiane? Sta di fatto che è da un decennio abbondante che Carpenter non siede dietro la macchina da presa per la realizzazione di un lungometraggio, e questo ci rende tutti infinitamente tristi. La sua decisione di dedicarsi anima e corpo alla musica, invece, è motivo di enorme gioia per gli appassionati. Perchè le colonne sonore dei suoi film ““ nella maggior parte dei casi, almeno ““ sono state composte ed eseguite proprio da lui, che è anche un provetto tastierista.

“Lost Themes III: Alive After Death”, come si evince facilmente dal titolo, è la sua terza uscita discografica senza alcun legame con il cinema. A esclusione delle atmosfere da soundtrack orrorifica, naturalmente: quelle ce le ha impresse nel DNA. Ancora una volta, dopo le fruttuose collaborazioni per “Lost Themes” (2015) e “Lost Themes II” (2016), sono tornati a dare una mano il figlio Cody Carpenter (anch’esso ai synth) e il figlioccio Daniel Davies (chitarrista il cui padre naturale è nientepopodimeno che Dave Davies dei Kinks).

L’intesa all’interno del trio, consolidatasi nel corso dei recenti tour, è ormai totale. Stando alle parole del regista, tutti i dieci brani dell’album sono nati dalla condivisione di piccole idee: un giro di basso, una frase musicale o un pattern ritmico eseguito su una drum machine. Minuscoli frammenti sonori dalla cui fusione prendono forma una serie di pezzi strumentali densi, articolati ed estremamente oscuri, che si evolvono di secondo in secondo sulla scia di ruvide melodie crepuscolari (“Weeping Ghost”, “Cemetery”, “The Dead Walk” e la fenomenale “Vampire’s Touch”, con un finale in crescendo davvero da brividi) e sfumature malinconiche sorprendenti perchè inaspettatamente soft (“Dripping Blood”, “Turning The Bones” e l’imponente “Carpathian Darkness”, caratterizzata da sontuose influenze classicheggianti).

Gli elementi tradizionali del sound carpenteriano ci sono tutti: i temi memorabili disegnati dai sintetizzatori analogici e modulari; i chitarroni prepotenti alla “Pork Chop Express” (da “Grosso guaio a Chinatown”); il mix geniale e straordinariamente raffinato tra l’elettronica dark e minimale, il rock più muscolare e certe allusioni agli anni ’80 evidenti ma difficili da definire, in bilico tra i Tangerine Dream, l’AOR e il Vince DiCola di “Rocky IV”.

C’è però anche il desiderio di realizzare qualcosa di più complesso e sperimentale rispetto al passato, con brani lunghi ed elaborati in cui si avverte con forza non solo l’impegno creativo di tutte le menti coinvolte nel progetto, ma anche il riuscito distacco dal medium cinematografico. Questo per dire che “Lost Themes III: Alive After Death”, nonostante l’indelebile marchio filmico, si fa apprezzare per quello che è, ovvero un ottimo album di musica elettronica vagamente vintage. Nessuna offesa per il maestro John Carpenter, che invece lo aveva definito “una colonna sonora per pellicole immaginarie”. Anzi, semmai tutto il contrario.