C’è voluto un po’ di tempo per ascoltare l’esordio di Marco Castello, “Contenta tu”, e ora le cose iniziano a farsi interessanti perchè, in fin dei conti, il filone italiano da un po’ pesca tutto dallo stesso pantone, che sia rap/trap, indie o un cantautorato più ricercato, che va da Colapesce a Colombre e il rischio di appiattire tutto è più che un’ipotesi.
Marco rimette in gioco il piacere di ascoltare canzoni in italiano senza cadere nei clichè o nel già sentito; colpisce per una sincera qualità artistica data dal gusto nelle melodie (complice l’esperienza al fianco di Erlend à’ye dei King of Convenience), da quel sapore jazzato, un po’ soul, un po’ funk che dà animo groove ai brani, dal gusto diversamente retrò, divertente (“Addiu” sa il fatto suo).
Gioca nel suo essere sfacciato «Non sono presuntuoso, ma tutti gli altri a sbagliare» (“Luca”), ma è bravo nel girare intorno a una frase e costruire un percorso, a esprimere un concetto (lessicale o musicale) con pochi elementi essenziali e crearci divertissement che lo rendono meno pesante di ciò che ci si aspetterebbe (“Porsi”).
Nel parterre di artisti che aspettano di arrivare alle transenne dei nuovi volti della musica italiana Marco è quello che sgattaiola in mezzo a tutti, chiedendo scusa da paraculo per trovarsi sotto al palco, senza rovesciare neanche una goccia della birra gelata che ha in mano, non è dono da poco.
Credit Foto: Glauco Canalis