Se andate in brodo di giuggiole per il sound folk femminile à  la Marissa Nadler o Aldous Harding, allora dovete decisamente farvi il regalo di prestare attenzione a Indigo Sparke.

Nata a Sydney da una coppia di artisti jazz, deve il suo nome dal brano “Mood Indigo” di Duke Ellington (e già  qui, amici, direi wow), l’artista australiana è cresciuta a suon di Joni Mitchell  Neil Young.
Ha esordito nel 2016 con l’EP “Nightbloom”, un prodotto abbastanza di nicchia e, se posso permettermi, un tantino acerbo per poi tornare l’anno successivo con il brano di discreto successo “The Day I Drove the Car Around the Block”, composizione evocativa voce e chitarra che anticipa in tutto e per tutto la produzione successiva, arrivata proprio quest’anno via Sacred Bones Records.

L’ultima fatica di Indigo Sparke si intitola “Echo”, e direi che il titolo calza a pennello.
La sua voce da soprano echeggia a tratti leggera, a tratti sensuale, a tratti un sussurro strozzato in tutto l’album, giocando con gli intricati arpeggi o le plettrate docili della chiatarra classica.

è stato registrato tra Italia e America sotto la supervisione di Adrienne Lenker, fondatrice del gruppo folk rock Big Thief, e con la produzione di Andrew Sarlo.
Musicalmente, il disco è vibrante e sembra ambientato in una notte di luna piena nel deserto.
La produzione è minimale: sono coinvolti solo voce e chitarra, qualche sprazzo di basso e, esclusivamente nella prima traccia, “Colourblind”, una batteria leggera.

Indigo è un’artista di estrema profondità , grande empatia, delicatezza e capacità  espressive che si fanno evidenti nella scrittura delle liriche. I testi sono al limite della poesia, ma nonostante il linguaggio evocativo riescono, grazie all’atmosfera creata dal comparto musicale, a puntare dritto dritto al cuore dell’ascoltatore.
Il tema cardine è di certo l’amore, che non viene narrato e cantato in maniera banale ma affrontando con grande libertà  e trasparenza tutte quelle che sono le sue fasi (dall’innamoramento, al tradimento, alla separazione, alla passione, all’ossessione).
L’artista, nel corso delle 9 splendide tracce di “Echo”, mette a nudo parte della sua anima, della sua intimità  più recondita e sofferente, a tratti quasi implorante, e riesce a farlo in modo cristallino e… umano.

Musicalmente, i brani seguono la struttura classica del country-folk: senza fronzoli ma allo stesso tempo estremamente incisiva.
“Colourblind”, opening track nonchè uno dei singoli estratti da “Echo”, ne è l’esempio perfetto col tamburello in sottofondo e il whistle a metà  brano. Sulla stessa linea troviamo “Undone”, “Golden Age”, “Bad Dreams” e “Baby”, che diventa una ninna nanna dolcissima sul finale, con il verso ripetuto più volte “B-A-B-Y   you’re my lullaby”.
Ma è in brani come “Carnival”, “Dog Bark Echo” e “Wolf” che si realizza la magia.

“Carnival” parte con la solita combo voce-chitarra per poi tradursi in una struggente supplica:
“I wanna know whats real, oh mom please hold my hand cause, I feel like I can’t feel. Will you be mine?”.
Una chiusa del brano sorprendente, in cui il falsetto quasi si spezza e sembra che Indigo Sparke stia per frantumarsi da un momento all’altro sotto i nostri occhi.

“Dog Bark Echo”, invece, parte con uno spoken vocal, in cui viene narrata una poesia.
Questo pezzo è un’esperienza.
Manco a dirlo c’è una forte eco, un riverbero, come se ci si trovasse all’aperto, con i suoni della notte in sottofondo. C’è una chitarra classica a creare un intreccio di note scomposte che risuonano nell’atmosfera e mi sembra davvero di poter avvertire il gufo in sottofondo o il latrato del cane che abbaia chissà  dove nel deserto.

“Wolf” rappresenta la componente sensuale e passionale del disco. Si apre con un arpeggio morbidissimo dalla forza evocativa dirompente. Anelante di voglia fisica, Indigo invita il partner a seguirla al piano di sopra e ripete: take my hand, touch me there, I am wet, I am burning, I am an ocean just for you”.
Un testo potente e delicato per un brano che si conclude con un mormorio sensuale e sospirato che ci ricorda gli ansimi di due amanti.

L’ultima traccia è “Everything Everything”, ultimo singolo estratto da “Echo”.
Possiamo avvertire il respiro dell’artista poco prima che inizi a cantare con questa voce soave e eterea che davvero non ci si stanca di ascoltare. Nonostante l’artista si porga domande (e soprattutto cerchi risposte) sull’esistenza, in questo brano arriva alla conclusione che, considerati tutti i sogni e i ricordi che ognuno di noi colleziona, ci si muove in cerchio. In un eterno ritorno che si conclude con una sola certezza: “everything is simple, everything is dying”.

“Echo” è un disco fatto per lenire le ferite e rimarginarle poco a poco: sia quelle dell’autrice, che quelle di noi ascoltatori. Un dono dolcissimo fatto di vulnerabilità  ma al contempo anche di grande resilienza, che va gustato in silenzio, magari proprio sotto le stelle in una serata ghiacciata e limpida come queste giornate di Febbraio.