In occasione dell’uscita, lo scorso 29 gennaio via Santeria Records, del loro primo ottimo album omonimo – recensito nella nostra seguitissima sezione Brand New – abbiamo approfittato per scambiare due chiacchiere via e-mail con Gabriel Stanza (voce, tastiere, tromba) ed Enrico Giannini (chitarre), che ci hanno parlato del loro progetto e delle prospettive per il futuro.

Ciao ragazzi, un vero piacere, come state? E da dove ci scrivete?
Ciao, piacere nostro. Qui dalla Toscana, tutto bene. Stiamo scrivendo da tre diverse province (Firenze, Pistoia e Arezzo), quindi possiamo dire che copriamo un po’ tutta la regione.

Per prima cosa, ci potete raccontare l’origine del nome della band e come sono nati, quindi, i Dust & The Dukes?
Enrico: La band è nata in maniera totalmente spontanea a dire la verità : semplicemente tre ragazzi che avevano una gran voglia di suonare dal vivo un po’ di rock’n’roll. Ci siamo incontrati e subito sono nati i primi brani che poi hanno formato il nostro primo EP e il nome è arrivato di conseguenza.
Gabriel: Il nome Dust & the Dukes è un omaggio al passato, a qualcosa di scolorito e delle volte sfuocato e sporco che però lascia trasparire la vera anima delle cose. La perfezione nell’imperfezione.

Il 29 gennaio è arrivato il vostro esordio ufficiale con l’album omonimo che già  dalla copertina richiama le tipiche ambientazioni aride dell’entroterra americano. Ed, infatti, il disco solca terreni western-blues, rock, country. Le ispirazioni maggiori, oltre a quelle che si leggono nelle note stampa, da dove provengono? Quali sono i vostri artisti/band preferiti?
Enrico: Le nostre ispirazioni, nonostante ovvie differenze, provengono principalmente da quello con cui siamo cresciuti, la musica, i libri, i film e tutto quello che ha formato l’immaginario musicale e visivo della band. Un immaginario che può sembrare lontano anni luce dalla realtà  italiana ma che per noi è stato quasi naturale adottare.

Dopo aver ascoltato i brani ho avuto sin da subito la sensazione di non essere di fronte ad un album d’esordio. Ho percepito sonorità  mature e ricercate, con precisi arrangiamenti, penso ad esempio a “Losing Tune pt.1-pt.2” oppure a “Secrets In The House”, ma anche alla deliziosa “Feather”. Vi sentite diciamo “cresciuti” o siete gli stessi di quando avete iniziato?
Gabriel: Direi che di base noi siamo sempre gli stessi di quando abbiamo iniziato ma poi, come sempre succede, giorno dopo giorno inevitabilmente si cambia, si cresce. Questo succede soprattutto perchè lungo il cammino si incontrano persone. Nel nostro caso, l’incontro con il produttore Andrea Ciacchini ci ha fatto crescere. Parlando di tutto questo, mi viene in mente una meravigliosa canzone intitolata “Todo Cambia” di Mercedes Sosa.

Ecco, potranno esserci in futuro progetti diversi, ad esempio con sonorità  più elettroniche o sperimentali? C’è spazio all’interno dei Dust & The Dukes per questo tipo di musica o rimarrete fedeli al vostro “desert rock”?
Enrico: Sicuramente con il tempo il nostro suono si evolverà , speriamo in qualcosa di sempre più maturo e consapevole. Abbiamo già  diversi brani che potrebbero far parte del nostro futuro, brani che in realtà  vertono su atmosfere più “noir” (se mi passi il termine).
Al momento una svolta “elettronica” ad esempio la vedrei un po’ fuori contesto ma chissà  cosa ci riserverà  il futuro.

Il disco è stato registrato in presa diretta per dargli un piglio “live”. Ritengo che questo disco e i Dust & The Dukes sono nati per lo stage. Quanto vi manca suonare dal vivo e se magari state considerando qualche soluzione alternativa, come lo streaming sui social che va molto in questo particolare periodo storico. Che ne pensate?
Gabriel: I “live” per noi sono come l’aria aperta, senza di essi siamo limitati. Però è anche vero che attualmente stiamo lavorando a nuovi contenuti visivi , da ultimare e annunciare a breve, perchè sono strumenti in grado di evocare sensazioni e quindi utilizzandoli è possibile aggiungere qualcosa alla parte musicale.

A quale band, nota o meno nota, scegliereste di fare da opening act per i loro concerti?
Enrico: Poter scegliere una qualsiasi band a cui fare da opening act sarebbe veramente un sogno a occhi aperti. Potremmo nominartene almeno un centinaio ma per il bene di questa chiacchierata ci limitiamo a dare due nomi su cui siamo tutti d’accordo: come mostro sacro andiamo su Nick Cave & The Bad Seeds e come “emergente” sul cantautore neozelandese Marlon Williams.

Venendo alla scrittura, come nascono i testi e come li amalgamate poi alla struttura musicale? C’è un percorso definito o vi lasciate trasportare anche dall’improvvisazione?
Gabriel: Non c’è un percorso definitivo. Ogni brano è diverso, ha una sua personale storia ma in genere partiamo sempre dall’improvvisazione, soprattutto vocale. Questo ci permette di lasciarci guidare dalla musica e di ricercare il suono della parola.

Quando ho ascoltato “Just Fine” ho subito pensato ai miei “amati” The Veils, soprattutto per le sonorità  di “Time Stay, We Go” del 2013 (e si sono un loro “fan”, ahah). Uno dei miei brani preferiti del vostro debutto è “Life in a Bottle” nel quale, guarda caso, è presente Uberto Rapisardi con il suo Hammond. Come è nata la collaborazione e come è stato suonare con un “pezzo da novanta” come lui?
Enrico: Per noi è molto divertente rispondere a questa domanda perchè sia io che Gabriel siamo cresciuti insieme a Uberto. Ci siamo conosciuti letteralmente giocando con le macchinine nei giardinetti del quartiere, abbiamo condiviso esperienze scolastiche, adolescenziali e musicali, quindi parliamo di amicizie fraterne. Siamo fan dei The Veils sin dai loro esordi e abbiamo la fortuna di essere anche loro amici. Ci siamo divertiti un sacco a registrare con lui e sicuramente il suo Hammond ha dato quel qualcosa in più di cui avevamo bisogno. Uberto Rapisardi è e sarà  sempre membro onorario dei Dust & The Dukes.

Ci sono dei brani nel disco ai quali ognuno di voi è particolarmente legato e per quale motivo?
Enrico: Direi “Life In A Bottle”. Da quando lo abbiamo scritto, ho sempre sentito un legame particolare con il brano. Non so perchè ma non mi stanco mai di ascoltarlo e suonarlo.
Gabriel: “Life In A Bottle” è per me una fotografia in bianco e nero di un futuro imprevedibile e quasi una filosofia di vita, un forte brano di essenza, dove la semplicità  è la protagonista.

Un’ultima domanda: potete scegliere una canzone, anche non vostra, da usare come soundtrack per questa intervista?
“Wading Into Love” dei Tuxedomoon.

Grazie mille ragazzi e arrivederci a presto. In bocca al lupo per il disco!

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Photo credit: Rebecca Lena