La rappresentante di lista cammina per le strade di Palermo prima di arrivare in quelle di Sanremo.
Lo fa perchè Veronica, una delle due metà di questa realtà , ci arriva dalla Toscana e si iscrive come rappresentante di un partito in occasione del referendum del 2011 sull’energia nucleare, dopo aver conosciuto Dario, l’altra metà , e aver riconosciuto il loro amore comune per la recitazione.
Intervistarli è compiere una passione, un reminder per quello che faccio e voglio fare. Vorrei che tutti conoscessero quello che hanno da dire e le parole che hanno già regalato nelle loro canzoni. Vorrei che fossero i miei migliori amici. Sono quasi fiera di aver vissuto nella bolla che li vede protagonisti e divulgatori di idee giuste, battaglie interiezionali e sentimenti personali resi universali.
So che per quelli che lo scoprono adesso sarà probabilmente traumatico, ma i due non stanno insieme e il loro non è l’amore dei Coma Cose. Però è amore indubbiamente. E lo si è notato dagli sguardi d’intesa durante la consegna dei fiori a Sanremo e dall’energia presente ogni volta che la loro “Amare” prendeva vita sul palco. è un viaggio in cui l’uno prende in prestito le emozioni dell’altra e ci si affida completamente. E viceversa.
Mi approccio a loro con un’ammirazione fin troppo entusiasta e, dopo i tenerissimi convenevoli, capisco subito di dover lasciarli parlare tenendo a bada le mie domande sui pezzi più vecchi, testimonianza del mio essere una veterana.
Anche nella prosa, lontani dai loro versi, son riusciti a farmi scorgere qualcosa di comunque poetico.
è il 2021 e Instagram censura ancora un capezzolo. Poi c’è My Mamma che visivamente è la versione queer de l’Origine du monde di Courbet. è un lavoro che rimanda molto alla vita, alla maternità , da Oh Ma Oh Pa” al gioco di parole di “Mai Mamma”/ “My Mamma”, titolo di un brano il primo, titolo del vostro quarto e ultimo album il secondo, che è inglese e siciliano al tempo stesso (in alcune parti della Sicilia “Mia” si pronuncia “Ma”, ndr). Vorrei entrare in questo immaginario pieno di glitter e cose che nascono.
Veronica: Allora iniziamo col dirti che la copertina è la rivisitazione dell’opera da parte di un’artista palermitana che si chiama Manuela Di Pisa. Noi abbiamo fatto un’operazione molto semplice; abbiamo dato a Manuela il disco e le abbiamo chiesto di ascoltarlo e di tradurlo attraverso l’immagine. Tra le varie ipotesi che erano venute fuori per la copertina c’era anche questa e per noi, senza troppi pensieri o considerazioni personali, è stato subito lampante che racchiudesse i tanti temi che volevamo venir fuori anche attraverso le nostre canzoni. C’è la femminilità , ci sono i colori psichedelici molto d’impatto e c’è questa apertura, questo mondo pronto ad esplodere.
Dario: C’è sicuramente anche il fatto che si tratti di un’opera molto controversa e, riprendendo il tuo discorso su Instagram, ti dico che noi non siamo caduti nella sua censura incredibilmente, cosa in cui siamo caduti invece con l’album precedente, “Go Go Diva”. La copertina non fa altro che sottolineare il potere politico del corpo femminile e questo è un altro aspetto sicuramente presente nel disco, come in “Go Go Diva”.
Veronica: Ci è sempre piaciuto creare dei cortocircuiti, chiamiamoli così, fra quello che raccontiamo e un significato altro che potrebbe celarsi dietro al titolo e alla copertina. Il gioco di parole è assolutamente voluto!
Dario: Poi immaginavamo che non sarebbe stato colto da tutti.
In effetti specificarlo potrebbe esser risultato funzionale. Vi siete ricollegati proprio a quello che volevo dirvi sulla copertina di “Go Go Diva”, album dal titolo altrettanto english, che io ho definito l’esplorazione visiva del vostro rapporto. Io vi ho sempre guardati e pensato a voi come a un esempio perfetto di uguaglianza e al tempo stesso diversità fra donna e uomo, qualcosa che sta in equilibrio. Siete due anime che si sono incontrate e trovate nel mondo. Come è stato scoprirlo?
Dario: Faccio una piccola nota che riguarda proprio il maschile: se in “Go Go Diva” eravamo riusciti, come hai detto anche tu, a rappresentarlo in copertina nel suo essere simile e opposto in contemporanea, un altro cruccio che ci eravamo fatti per “My Mamma” era la possibilità che potesse essere troppo sbilanciato da una parte. Però in realtà secondo me il disco continua a racchiudere questi opposti che si intersecano come i vari generi musicali. Noi adoriamo il fatto che si parli di queer e che la nostra sia una definizione che riguarda la musica ma va proprio a toccare la complessità del termine. Riconoscersi anime affini credo sia ancora un processo in atto ride, ndrr.
Veronica: Da una parte, quando arriva la consapevolezza, è come se tu in qualche modo dovessi farlo con più responsabilità . Se all’inizio è più un comprendersi senza definirsi più di tanto, dal momento in cui comprendi questa forza complementare, questa modalità si porta appresso delle piccole regole, una codificazione di quello che stai facendo. Però essendo una continua scoperta rimane sempre la curiosità e tutta quella parte di imprevisto che lo rende ogni volta inaspettato.
Dario: Una modalità che secondo me abbiamo trovato negli anni per raccontare il nostro essere complementari è stato il replicare il duo che siamo aggiungendo altri musicisti dentro a quello che poi è diventato il nostro collettivo. Anche se nelle foto siamo sempre io e Veronica La rappresentante di lista è il risultato di un ampia squadra di musicisti, Marta ed Erica che avete visto sul palco con noi a Sanremo, Enrico e Roberto, Manuela di Pisa, Mattia Piazza che si è occupato del design di abiti e costumi. Si tratta di un nucleo di cui noi siamo soltanto la copertina.
Anche il nome che avete scelto per rappresentarvi, così “sbilanciato” e concentrato sul femminile, dice tanto su chi siete ed eravate. Politicamente è schierato e precede, essendo nato più di dieci anni fa, il femminismo contemporaneo. Anche suonando, Dario, tu dai a Veronica un supporto “silenzioso” sicuro e consapevole del messaggio che lei sta veicolando a voce per conto di entrambi. Credo sia una fiducia spietata, quasi una fede. “Fragile” è l’unico brano del disco cantato da te. C’è del politico nella fragilità cantata da un uomo nel 2021 o non vi riguarda, perchè è, come dovrebbe essere, normale?
Dario: è chiaro che nel momento in cui si parla di femminismo e dell’evoluzione che ha avuto è necessario ragionare anche su come cambia il ruolo dell’uomo. Si tratta di una tematica meno in hype in questo momento, diciamo, però assolutamente complementare. Il discorso sulla fragilità dell’uomo è importante perchè si sviluppa insieme a quello che riguarda il cambiare, lo stare cambiando e specialmente il dover cambiare questo binomio, per non parlare di binarismo, che è una parola che non ci piace.
*Rido e sorrido*
Dario: Abbiamo provato e riprovato più volte. Questo è uno di quei casi in cui la musica si rivela visionaria. Continuavamo a registrare “Fragile” con la voce di Veronica ma non funzionava, non ci restituiva quell’emozione. Doveva essere raccontata con la voce di un uomo e non di una donna. Questa cosa ha messo in difficoltà la nostra realtà discografica, perchè trattandosi di un pezzo con grande potenziale era secondo loro molto rischioso per noi, una band ad attrazione femminile, diffondere un brano cantato da me e non da Veronica. Era rivoluzionario nell’immaginario de La rappresentante di lista, ma non ce l’abbiamo fatta a non seguire ciò che dettava la musica.
Veronica: Direi che la musica qui sia stata illuminata. è come se quella canzone non avesse scelto me. è stata lei a suggerirci quella che in realtà era una verità palese.
Trovo che il fatto che si sia trattato più di una necessità che di una scelta sia molto romantico. Vorrei sapere che scuola c’è dietro la vostra descrizione così dettagliata del dolore. Credo sia la cosa che vi riesce meglio. Un dolore che, molto più banalmente, forse è solo sensibilità , anche se, una delle nuove tracce, “Alieno” ci ricorda che il dolore è più forte di tutte le cose. Che rapporto c’è fra di voi?
Veronica: ride, ndr, un buon rapporto quotidiano! Se penso a questa scuola immaginaria mi viene voglia di riportarla dentro alle pareti di un teatro. Penso che lo studio del dolore sul corpo fatto a teatro, della gioia e dei sentimenti, il capire anche a livello fisico cosa provocano dentro di te, sia sempre un buon esercizio. La grande magia del teatro permette di trasformare il dolore in forza risolutiva, è il primo motore per rinascere e diventare gioia. Quindi in realtà per noi è una materia sempre fondamentale da avere intorno. Cerchiamo sempre di abbracciarlo e non allontanarlo, per accoglierlo e sentirlo più caro. Questa analisi anche fisica fa in modo che tu riesca a tradurlo in immagini evocative nei testi e questo renderlo tangibile anzichè considerarlo un mostro sotterraneo per me è come il gioco che si fa in Harry Potter, il ridiculous: se io in qualche modo lo posso trasformare allora posso modellarlo a mio piacimento.
Dario: Il teatro in questi anni è stato un percorso umanistico. Non si tratta solo della letteratura o di sapere chi è Amleto, ma di sviluppare una curiosità verso l’uomo, replicare quegli stereotipi che poi diventano umanità , moltitudine. Ci ha dato forse quella sensibilità di cui parlavi tu, che ci permette di leggere questo tipo di sensazioni e di sentirle prima di tutto nella nostra vita e poi universalizzandole, o almeno provandoci. Rispetto alla frase di “Alieno”, sono più forte dell’amore, sono il dolore, ti dico che è una frase che mi disse all’università un mio professore di patologia che, parlando a proposito del dolore fisico più che altro, disse che l’unico momento in cui viene meno è proprio durante l’amplesso. Non so perchè mi fece questo discorso e non so perchè lo sto facendo a te (ridiamo tutti). La maggior parte del dolore lì viene meno e credo che durante la scrittura di “Alieno” io avessi questa cosa ben impressa.
Il vostro rapporto è sempre lo stesso o esiste in più dimensioni, adattandosi ad altre circostanze? Voi di recente avete anche recitato insieme nella serie “Il Cacciatore”. Ma parlo anche di Sanremo. Una personalità come quella di Dardust come ha fatto a intrufolarsi fra voi?
Veronica: è un po’ come se io e Dario custodissimo lo stesso segreto, no? In questo scrigno abbiamo questa cosa luminosa che sappiamo solo noi. Ognuno di noi due si occupa di vari aspetti che la compongono, credo. E sappiamo che l’altro se ne occupa proprio bene. Così quando portiamo questa luce a qualcun altro sappiamo cosa concedere e cosa no, cosa guardo io e cosa osserva Dario. In qualche modo non si sgretola mai.
Dario: Quando ti ho sentito fare questa domanda avrei voluto rispondere che siamo sempre pronti a offrire il fianco e credo Veronica volesse intendere una cosa del genere. Penso non ci sia evoluzione se non si prova a scardinare un equilibrio. Il nostro lavoro è un equilibrio che a volte sta in piedi, a volte crolla, a volte ci mettiamo settimane per ricostruirlo ed esattamente con questa difficoltà con cui ci sbilanciamo l’uno con l’altro per metterci in difficoltà e andare avanti che mettiamo sulla bilancia il peso di altri artisti, produttori, musicisti. Tutti questi incontri, che abbiamo cercato e fortemente voluto, non sono che squilibri che aiutano a trovare nuovi equilibri.
Quando sono arrivata alla fine del disco, e quindi a “Mai Mamma”, l’ho trovata una risposta alla precedente “Resistere”. Anche “Resistere” è una canzone in cui ci si ribella, ma in “Mai Mamma” ci si ribella giocando. Probabilmente l’avete scritta un anno fa, probabilmente in zona rossa; come facevate ad affermare di avere, ai tempi, sulla faccia i desideri di una vita tutta intera? E quale sarà adesso il vostro modo di Resistere?
Veronica: I desideri penso non ti abbandonino quasi mai. A parte lo sconforto e la riflessione su un anno fa credo che dopo sia venuta fuori quell’urgenza di ritrovarsi. Scrivi per il tuo sentire ma speri che si sposi con gli altri. Viene fuori la necessità di riconoscersi in una comunità . E adesso che i nostri desideri sono di nuovo accesi dobbiamo tenerli vivi e non farli addormentare. Toccare il fondo va bene, ma bisogna inventarsi delle pratiche, riempirsi di parole buone e stimolanti. Trovare altre modalità per immaginare e raccontarsi. Mi vengono in mente le cose che non usiamo fare più; spedire una lettera, fare delle cose fuori tempo, farsi consigliare della musica altra.
Dario: Il disco è stato proprio una reazione al primo lockdown. C’è il rischio che le parole che abbiamo messo per iscritto un anno fa adesso vengano dimenticate. Noi proveremo, come stiamo facendo con te in momenti come questi, a tener viva la narrazione del disco. Le parole che hai pensato accendono cose diverse in persone diverse. I desideri di “My Mamma” sono i desideri accumulati da una vita. E sì, in “Resistere” c’è un romanticismo, dovuto anche agli archi, una sorta di sogno che rappresenta l’apice emotivo del disco, una speranza che abbiamo avuto la necessità di disilludere con “Mai Mamma”.
Questa è la sensazione di cui vi parlavo. Dopo il pianto si vuole ridere. Per chiudere vorrei che condivideste con me un ricordo di Palermo e della Sicilia, non un ricordo dettagliato ma più un’istantanea.
Dario: Noi siamo proprio a Palermo in questo momento, per cui l’ultima immagine che ho in testa è quella di me che vado a comprare il pane fresco, come stamattina. Faccio parlare Veronica.
Veronica: Io ho delle istantanee che rappresentano anche delle tappe. Quella della prima volta che sono arrivata con l’aereo a Palermo, sono arrivata prestissimo, all’alba, e camminavo in queste strade seguendo la via dell’indirizzo, da sola e abbastanza giovane, parliamo di 12 anni fa. Ricordo che vibravo d’emozione e avevo la sensazione di conoscere già quei luoghi, come se mi fossero cari, mi ricordavano casa mia, la mia Toscana, e riuscivo a muovermi benissimo, probabilmente non esistevano nemmeno i navigatori. Ricordo una grande pace, quella di un posto che ti accoglie, come se fosse ieri. L’altra istantanea è scattata al Teatro Garibaldi, durante l’occupazione e la vita vissuta lì dentro, e la Vicaria, dove ho iniziato il percorso con Emma Dante.
Dario: Secondo me una cosa interessante di Palermo è proprio il fatto che si tratti di una città fuori dal clamore, fuori dai giochi dell’arte e dello spettacolo e nonostante ciò resista con un vastissimo gruppo di artisti. è la culla di un underground reale, al quale poco importa delle classifiche di Spotify e tutta quella roba lì. Un luogo in cui si può fare ricerca , perchè come in tutti i sud il tempo qui scorre in maniera diversa e il tempo è l’unico vero lusso che possiamo e dobbiamo permetterci come artisti.
L’ufficio stampa ci interrompe, anche se sarei voluta rimanere ad ascoltarli mentre mi confidavano altre cose preziose.
Vi lascio a “Resistere” e volo via anche io.
Confrontarmi con la società non mi spaventa
Essenza senza limite
La meraviglia dei miei occhi non si sgretolerà
Mi accarezzerei e mi farei a pezzi
Ancora queste mani non riescono a credere
L’immensità dei cieli azzurri
Senza la paura di cadere, di sbagliare
Senza limiti, senza regole
Foto: Manuela Di Pisa