Serj Tankian ha 54 anni suonati e spacca ancora i culi.
Nella musica ha fatto quello che voleva, da sempre.
Dopo la chiusura del progetto System of A Down nel 2005, con la pubblicazione dell’immortale combo “Mezmerize”-“Hypnotize”, il nostro armeno-americano preferito si è lanciato all’esplorazione di pressochè qualunque genere musicale.
L’abbiamo visto destreggiarsi tra colonne sonore di film (“1915”, sul tema del genocidio armeno; “The Last Inhabitant”; “Furious”) e videogiochi (“Midnight Star”); arrangiamenti per orchestra sinfonica (“Elect the Dead Symphony” e “Orca Symphony No. 1”, in collaborazione con la Das Karrussel Orchestra), passando per il side project jazz-fusion Jazz-Iz-Christ e la parentesi elettronica con “Fuktronic” del 2020.
Insomma, rimanendo sempre coerente al suo personalissimo stile, carisma e personalità , Tankian ha fatto dell’espressione artistica in tutte le salse il suo mantra, tirando fuori risultati non sempre memorabili, questo è certo, ma pur sempre degni di nota.
“Elasticity” è un album corto, pubblicato via Alchemy Recordings il 19 Marzo scorso, e composto da appena 5 tracce concepite originariamente da Tankian per un ritorno in pompa magna del celebre quartetto dei SOAD, composto oltre a lui, da Daron Malakian alla chitarra, John Dolmayan alla batteria e Shavo Odadjan al basso.
Peccato che qualcosa, nel processo di finalizzazione delle idee, è andato storto e i membri della band abbiano posto il veto portando a una nuova (inevitabile?) rottura nell’alchimia della band, spezzando un po’ il cuore a tutti i fan che in una reunion ci speravano davvero, soprattutto dopo la pubblicazione del singolo “Protect the Land/Genocidal Humanoidz”.
Sta di fatto che il nostro Serj non si è dato per vinto, e si è deciso a pubblicare comunque le 5 tracce in un album tutto suo, servendosi di altri musicisti come accompagnamento.
Il risulstato è questo disco, “Elasticity”, che sancisce un po’ il ritorno di Serj Tankian nella scena alt-metal che aveva dodgeato dai tempi di “Harakiri”, nel lontano 2012.
Quindi com’è il disco?
Beh, possiamo dire che se l’intento voleva essere quello di dimostrare che Serj Tankian può fare i SOAD senza i SOAD, è stato un po’ un fiasco, (tranquilli, ora argomento la mia tesi).
Se invece “Elasticity” voleva essere la prova che Serj Tankian funziona dannatamente bene su strutture melodiche e stilistiche tipicamente SOAD della prima ora, allora sì, non posso che mettermi a fare headbanging in salotto con le cuffiette a volume improponibile, ricordando l’adolescenza ormai perduta.
Dunque, dicevo.
Il disco si apre con “Elasticity”, un pezzo costellato dai falsetti iconici e quella vocalità cartoonesca che hanno reso lo stile di Tankian inconfondibile nel corso dei decenni, spalmati su un arrangiamento tutto power chords e synth gorgoglianti che la rendono una gran cavalcata da pogo, (ah, se solo si potesse!).
Poi troviamo “Your Mom”, che ci ricorda un po’ i vecchi fasti di “Radio/Video”, con quegli inserti un po’ folk tradizionali arpeggiati da strumenti assurdi e gli interrogativi in spoken vocal à la “Sugar”.
“How Many Times”, la terza traccia è un frullato di capacità vocale pazzesca, archi e pianoforte: la formula migliore per affrontare un tema come quello della ricorsività della nostra esistenza.
A colmare il momento conscious ci pensa “Rumi”, un brano denso di significato dedicato al figlio di Tankian.
Infine, troviamo “Electric Yerevan”, che segue un po’ la struttura della hit “Prison Song” dei SOAD, in cui ancora una volta Tankian si fa portavoce di un messaggio politico forte e chiaro (soprattutto nella parte parlata, sul finale), in cui sostanzialmente denuncia le brutalità della polizia in Armenia (tutto il mondo è paese), in occasione di alcune proteste pacifiche portate avanti dalla gente per opporsi all’aumento del prezzo della corrente elettrica.
Quindi dove sta il problema, in questo disco?
Il problema è che manca qualcosa.
è che si rende palese ed evidente l’apporto creativo e musicale che il resto dei componenti dei System of A Down avrebbero potuto dare al disco, in modo da non farlo sembrare un exploit di interpretazione vocale senza una base convincente a livello musicale.
Risulta evidentissimo, durante l’ascolto, che i musicisti chiamati da Tankian per registrare il disco sono meri elementi di accompagnamento, e non riescono a diventare complementari alla prova vocale, a tratti recitativa, dell’ex SOAD.
La batteria, in particolare, risulta debolissima, sottotono: manca quella capacità che John Dolmayan aveva di dare spessore alle composizioni. Così come sono sicura che le schitarrate spastiche di Daron Malakian avrebbero lasciato un retogusto diverso al suono del disco.
Insomma: Serj Tankian ha collaudato uno stile inconfondibile che, di certo, funziona ancora benissimo.
Ma “Elasticity” è un disco orfano dei tre restanti componenti del gruppo sulle cui peculiarità i brani erano stati concepiti.