Immune, aspettavamo da tempo il tuo disco d’esordio; con i quattro singoli fin qui rilasciati (e il surplus di un DPCM Digital Tour che tra febbraio e marzo ha portato il cantautore piemontese ad esibirsi dai palchi virtuali di diverse webzine nazionali, riproponendo tutte le sue pubblicazioni in chiave unplugged), Elia ha fatto salire l’acquolina in bocca a tutti coloro che ancora credono nel mercato emergente, quello che rimane sommerso sotto litri di musica liquida che ogni venerdì sgorga dalle vene aperte di un mercato che dissangua, senza dissanguarsi mai.
Eppure, Immune la nostra attenzione se l’è riuscita a conquistare, in questi diciotto mesi; sì, la gestazione di “Origami“, il suo primo disco per Revubs Dischi, è stata particolarmente lunga ed articolata, complice (in negativo) una pandemia, che di certo non ha agevolato le cose. Se tutto non si fosse bloccato, ormai un anno fa, forse ora staremmo parlando di un Immune in tour per la Penisola, con un album d’esordio pubblicato magari mesi fa e un pubblico in crescita costante, data dopo data; così non è, o almeno, non proprio: il suo pubblico, Immune lo troverà perchè lo merita, ed ognuna delle dieci tracce di “Origami” urla a gran voce attenzione per un progetto che ha dimostrato definitivamente di avere le carte in regola per il salto, quello in lungo e in altro (allo stesso tempo, sì).
“Origami” è un’esperienza sensoriale per l’ascoltatore, che si trova proiettato, fin dai primi secondi di “Intro”, in un mondo etereo e sospeso in cui l’unica guida rimane la voce espressiva di Elia; ogni tappa del viaggio affronta una fase diversa della terapia personale di Immune, che in “Origami” si mette a nudo senza paura di scandalizzare, o di non essere compreso: l’autenticità della sua poetica rende impossibile non cogliere la possibilità catartica di ritrovare un po’ sè stessi, nelle parole dell’autore piemontese.
E così si susseguono, in un sali e scendi di intensità e sintetizzatori, le trame ben curate delle dieci tracce di un album denso, capace di ergersi a sintesi di tutte le molteplici influenze di Immune: dai Radiohead ai Subsonica, passando per Massive Attack e una buona dose di “giusto” mainstream; tanto giusto, che paragonare Elia a qualcosa che oggi già esiste sulla scena italiana risulta difficile.
“Chiuso in un barattolo” è una raccolta struggente di polaroid e istantanee d’infanzia, a ricordare che certe cose – per fortuna – non cambiano mai, anche quando crediamo di esserci trasformati; ma è in “Invisibile” che l’intensità della scrittura di Immune si fa concreta attraverso la capacità interpretativa di una voce dotata e, se vuole, virtuosa: il registro falsetto domina tutta la prima parte del brano, per poi evolversi nel portamento “di petto” assecondando la climax emotiva evocata da un testo ben scritto. “Evadere”, poi, sembra essere la via di fuga che Immune offre non solo all’ascoltatore, ma sopratutto a sè stesso.
Insomma, un primo disco che si è fatto attendere, è vero, ma che sembra essere lievitato bene. E che bello che esista ancora chi riesca a prendersi il tempo giusto per non lasciare che, nell’oceano di uscite del weekend, possa sciogliersi anche la propria musica. E’ un rispetto verso sè stessi e gli altri, questo, che fa bene al cuore.