Piers Faccini è un cantautore dalla penna delicata, che diventa spesso pennello sottile vista la sua passione per la pittura. Anno dopo anno in una carriera ormai lunga e ben consolidata ha stretto rapporti duraturi con il Belpaese di cui è originario, ma resta un cittadino del mondo con la valigia sempre pronta e la mente rivolta al prossimo viaggio, quello di questi tredici brani in cui è accompagnato dai maestri algerini Malik e Karim Ziad, dagli archi orchestrati da Lucas Suarez, con la partecipazione straordinaria di Abdelkebir Merchane e Ben Harper.
Un parterre di ospiti eterogeneo che arricchisce il sound di un album in bilico tra folk e country immerso ancor più che in passato nei suoni del Mediterraneo, nelle suggestioni arabo-andaluse, sefardite e dell’Italia meridionale. Ritmi lenti e avvolgenti che diventano incalzanti solo a tratti in “Dunya”, ballata meticcia che fa vibrare corde e percussioni, in “Lay Low To Lie” e “All Aboard” vero sforzo di gruppo con Faccini, Ben Harper e Abdelkebir Merchane alle voci.
“Together Forever Everywhere”, “Paradise Fell” e “The Real Way Out” tornano con un tono più maturo a quel folk gentile e calmo inaugurato in “Tearing Sky” e “Two Grains of Sand”. Particolare “The Longest Night” non tanto per l’arrangiamento quanto per lo strumento utilizzato: un ibrido fretless tra chitarra e oud realizzato appositamente per il musicista anglo ““ italiano.
Lo stile di Piers Faccini, fatto di piccole cose che diventano momenti da ricordare, era più popolare qualche anno fa di quanto non lo sia ora ma non è mai diventato marginale, sostenuto com’è da appassionati sempre pronti a emozionarsi di fronte al caldo crescendo vocale di “They Will Gather No Seed” e “Levante”. Poche sorprese (l’impeto elettrico di “Firefly” in particolare) ma l’atmosfera intima e l’intensità restano le stesse di sempre.
Credit foto: Julien Mignot