In occasione dell’uscita del suo secondo singolo per Revubs Dischi (di cui abbiamo avuto modo di parlare anche nel bollettino di qualche giorno fa, che potete recuperare qui), abbiamo chiesto al cantautore pugliese Milella se fosse disponibile per scambiare quattro chiacchiere su “Fondamentale”. Ovviamente, lui non si è certo tirato indietro: il risultato è l’intervista densa e sincera che segue.
Ciao Milella, e benvenuto su IndieForBunnies. Qui, lo spazio è importante per noi, e nessuna parola viene impiegata “a caso”. Elencaci tre cose fondamentali per te, sceglile bene!
Ciao IndieForBunnies, grazie mille! Anzitutto parto con la pizza, come non potrei, abbiamo una pizzeria in famiglia e, io sono letteralmente cresciuto in un forno a legna, quindi la pizza è stata parte integrante della mia vita da sempre, è la mia migliore amica, accanto in ogni momento. La fragilità , che contraddistingue il mio carattere, punto negativo e al tempo stesso positivo di me, è il mio punto di forza anche nei momenti di debolezza. Infine, anche se può apparire come scelta di comodo – ma giuro non lo è -, la musica, che insieme alle altre due “cose fondamentali” completa precisamente il quadro della mia vita.
“Fondamentale” è un inno disperato e innamorato ad una vita che, tra mille guerre, continua a trovare la forza per rialzarsi, aggrappandosi alla luminosità di ciò che è “fondamentale”, appunto. Come si fa, secondo te, a riconoscere oggi ciò che è davvero importante, vitale, da ciò che non lo è?
Se qualcosa è così importante da divenire fondamentale per noi, dovrebbe sconvolgere e rompere gli equilibri del nostro quotidiano, entrando a farne parte con forza, senza però essere più sostituita. Per me è così che si riconosce qualcosa di importante, quando senza SE e senza MA si trasforma nel nostro quotidiano, nonostante perderlo possa farci paura.
“Guerre stellari”, il tuo primo singolo per Revubs Dischi, aveva in qualche modo aperto lo spioncino su un mondo interiore, il tuo, che pare affondare le radici nel cantautorato e in una scrittura fortemente narrativa e poetica. Oggi, la comunicazione sembra essere rarefatta in frasi brevi, coincise, e tendenti ad una sorta di afasia che forse è in linea con i nuovi tempi di una comunicazione sempre più social. Come si resiste all’usura del sistema? Credi ancora che, in un mondo sempre più disabituato all’ascolto, ci sia spazio per i tempi e i linguaggi della canzone d’autore?
Io non ho mai avuto dubbi, forse è questo il vero “spartiacque” del periodo storico e musicale che ci circonda e viviamo. Io non cerco di entrare nel quotidiano di qualcuno con frasi e temi che potrebbero farli sentire compresi, al contrario, cerco di portare gli altri nel mio mondo. La mia musica è una terapia che fa bene in primis a me e, se continuerà ad esserci questa “usura”, io continuerò a essere me stesso, perchè sono cresciuto con quell’idea e, non mi piace snaturare il mio modo d’essere solo per una comunicazione più “moderna”. La canzone d’autore non finirà mai di tornare, perchè resta fortemente radicata in noi, ci sono canzoni di trentanni fa che saranno per sempre attuali, canzoni attuali che dureranno un paio di mesi e poi, si tornerà tutti ad ascoltare quelle di trentanni fa.
Gli ingredienti fondamentali per una buona canzone. Quelli che ti fanno dire “oh, finalmente qualcosa di buono” quando ascolti un brano che non è tuo.
Potrei fare un elenco di tecnicismi che mi piace ascoltare all’interno dei brani, ma finirei per mentire, la realtà è che io guardo il testo su tutto. Se non riesco a pieno a empatizzare con un testo, il brano automaticamente non rientrerà fra i miei ascolti. Se invece il testo è così intimo da farmi sentire nudo, allora lì impazzisco.
E tu, nei confronti dei tuoi brani, quanto sei critico invece? La scrittura è più un atto di sfogo e di riversamento di ogni pulsione in modo catartico o lavoro di lima, di negazione ed eliminazione dell’eccesso, anche laddove sincero?
Ho provato spesso a “scrivere a tavolino”, oppure a fare un “taglia e cuci” di brani e frasi che avevo all’interno dei miei taccuini, ma la realtà è che butto via il 70% di ciò che scrivo. Per me la scrittura è la cosa più vicina a una terapia che esiste, non mi sentirei sincero in primis verso me stesso se non fossi molto critico.
Siamo la generazione che “imbraccia il fucile solo per le proprie guerre” o credi esista qualcosa di più grande, di più collettivo, in cui credere?
La nostra generazione crede nel collettivo solo quando qualcuno glielo fa notare, però ci crede davvero quando è sotto i suoi occhi, quindi deve sempre esserci un pioniere che “imbraccia” per primo il fucile e porta gli altri a parlare. Dovrebbero esserci semplicemente più pionieri, pronti a rimboccarsi le maniche e tendere mano e fucile.
Facci una promessa, e te la comandiamo noi: un disco, finalmente, fuori presto. Che ne dici, te la senti?
Premessa, il disco è un sogno e, attualmente, grazie al percorso sia personale, sia di team con i ragazzi di Revubs, mi sento pronto per raccontare qualcosa in più di alcuni semplici brani, ma illustrare un vero e proprio immaginario. Il periodo storico non permette di essere “celeri” negli ambiti artistici, soprattutto nelle pubblicazioni, ma io ce la metterò tutta per portarvi un disco al più presto, ve lo prometto!
Grazie mille ancora per la bellissima intervista!
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