Uno dei paesaggi più suggestivi quanto affascinanti a cui si possa mai assistere è la calma del mare prima della tempesta, o gli attimi che precedono un’eruzione vulcanica. Spettacoli sicuramente mozzafiato, che però nascondono ““ o preannunciano, se vogliamo ““ qualcosa di molto più cupo al proprio interno. Nasce così in chi guarda un senso di meraviglia mista a inquietudine; all’aumentare dell’una, l’altra lo fa alla stessa maniera, mentre si triplica la voglia di continuare ad assistere a questo spettacolo mistico. è esattamente ciò che si prova ascoltando “Californian Soil”, il nuovo album della band britannica London Grammar.
A primo impatto, sembra di ascoltare un disco figlio di “How Big How Blue How Beautiful” dei Florence + The Machine e le sfumature più soft di “The Bones Of What You Believe” dei CHVRCHES ““ quelle che culminano in “Tether”, per intenderci. Non manca però una nota pop che si stacca dalle sonorità per cui sono conosciuti i London Grammar; vale soprattutto per “How Does It Feel”, non a caso nata anche grazie a Steve Mac (già collaboratore di Ed Sheeran, Louis Tomlinson e Sigrid).
“Californian Soil” è la coronazione del fondamentale ruolo di Hannah Reid nella band, che in poco meno di 45 minuti narra storie di violenza, di rinascita, di festival notturni e riscoperta di se stessi. Un turbine di emozioni preannunciato dalla title track, che racchiude in sè tutto il senso dell’album: un disco dalla bellezza disarmante, che però sembra celare qualcosa di molto più oscuro, tetro.
Tra metafore e la delicatezza della Reid, questo lato oscuro viene reso esplicito con “Lose Your Head”, una “Shake It Out” più armoniosa e meno drammatica. Parla infatti di una relazione tossica in cui domina la manipolazione emotiva, la voglia di avere potere sull’altra persona e di controllarla in ogni aspetto della sua vita. Il tutto in un pezzo che tutto sommato è leggero, molto orecchiabile grazie al contributo di George Fitzgerald. “Lose Your Head” dà proprio l’impressione di essere un brano destinato più a esorcizzare i propri demoni, che a denunciarli o a renderli un monito. La Reid invita implicitamente chi si ritrova nelle sue parole a unirsi alla sua danza liberatoria, lasciandosi alle spalle i propri problemi ““ anche solo per qualche minuto.
“Lord It’s a Feeling” parte dalla stessa tematica ma è più agguerrita nelle parole, come per rispedire al mittente tutto l’odio ricevuto in passato. Non è però una mera vendetta simbolica, anzi: Hannah Reid sembra parlare a nome di tutte le persone vittime di violenza che non hanno mai avuto una vera e propria occasione di far sentire la propria voce, o anche solo di mandare a quel paese i propri manipolatori.
E poi ci sono invece le canzoni d’amore, immancabili in un disco al cui centro sono poste proprio le emozioni più affascinanti di ogni essere umano. “Baby It’s You”, “Call Your Friends”, “All My Love”: Sono pezzi che in teoria trattano sempre di una stessa emozione, parlandone però di volta in volta con sfumature diverse. Forse è anche questo uno dei punti di forza di “Californian Soil”: contiene più brani che hanno la stessa tematica centrale, eppure musicalmente si distanziano notevolmente tra di loro, in un vortice di sperimentazioni ed emozioni che parlano alla parte più profonda e sensibile di ognuno di noi. Resta, però, quel sentimento del sublime che fa da concetto alla base dell’album e trova la sua conclusione in “America”.
La closing track è una sorta di album dei ricordi, che la Reid sfoglia in prospettiva di un futuro più luminoso, con le cicale che fanno da sottofondo alla sua voce. Dopotutto, chi non si è mai fermato ad ascoltarle da soli in una calda serata d’estate, ripensando a determinati momenti della propria vita? Forse, è proprio uno dei momenti più toccanti e intimi che si possa mai vivere. Ci auguriamo di provare di nuovo queste emozioni uniche la prossima estate, tra le cicale; magari ascoltando proprio questo piccolo, terzo gioiello dei London Grammar.