A metà anni novanta i Cranberries erano indubbiamente tra i gruppi musicali più popolari della scena mondiale, dopo aver ottenuto un enorme successo con l’album “No Need to Argue”; pubblicato nel 1994, faceva seguito a un esordio già molto interessante, diverso nelle sonorità ma baciato anch’esso da un buon riscontro di pubblico seppure dapprima solo negli USA.
Leader incontrastata del combo irlandese era lei, Dolores O’ Riordan, tanto minuta quanto dirompente nel saper imporre la sua complessa personalità .
Ci mise ben poco in fondo a emergere, fino a divenire autentica icona nineties in possesso com’era di una voce meravigliosa e di un’innata capacità di emozionare, intonando versi che dalle sue corde vocali uscivano giocoforza sinceri, intensi e il più delle volte diretti.
Eppure la sua fragilità non venne mai meno e anzi sembrava manifestarsi ancora di più nel periodo di massimo splendore della band, quando, tornati in sala di incisione per un attesissimo terzo album che doveva essere necessariamente degno erede dei predecessori, Dolores, i fratelli Noel e Mike Hogan (rispettivamente chitarrista e bassista) e il batterista Fergal Lawler si misero al lavoro pensando a un filo conduttore che li rappresentasse in quel momento storico.
Il concept fu trovato nel tema del dolore, della morte ma non sarebbero mancati riferimenti agli scenari politici ed espliciti messaggi contro le guerre.
“To the Faithful Departed” omaggia sin dal titolo le persone defunte, in particolare l’album è dedicato alla memoria di Danny Cordell (amico stretto della band) e al nonno della O’Riordan, quel Joe protagonista dell’omonimo brano, un’autentica ode folk.
Non pensiamo però a un disco in tono minore, tutt’altro: per quanto siano presenti momenti riflessivi e altri in cui la mestizia permea l’atmosfera, l’album è in realtà a conti fatti il più rabbioso e crudo di tutta la loro fulgida carriera, in cui la tristezza viene veicolata ed esorcizzata (anche) mediante virulente schitarrate rock.
L’uno-due in apertura in tal senso è micidiale, un autentico pugno nello stomaco, un grido lancinante oltrechè minaccioso della cantante intessuto in una musica ficcante e serrata; e se “Hollywood” anche nella sua partitura ritmica può a ben vedere ricordare la celeberrima “Zombie” – istant classic di un decennio -, lo stesso non si può dire dell’adrenalinica, fulminea “Salvation”, vero manifesto programmatico grondante punk.
Il disco cambia d’improvviso tonalità con due ballate emblematiche e baciate da autentica grazia. Entrambe uscite come singoli, “When You’re Gone” e “Free to Decide” brillano di luce propria, commovente e accorata la prima, ariosa e caratterizzata da una scintillante melodia pop la seconda.
A seguire ci imbattiamo nell’episodio a mio avviso migliore del lotto, vale a dire la struggente “War Child”, misurata e intensa al tempo stesso, rivestita di un arrangiamento che conferisce solennità al tutto.
Con “Forever Yellow Skies” i Cranberries tornano a ruggire tra insoliti echi post -punk ma l’alternanza forte-piano è sempre in agguato e si dimostrerà presto l’arma vincente di un album sicuramente ispirato. “The Rebels” infatti smorza i toni a livello musicale ma si mantiene integro e battagliero nelle liriche.
Dopo uno strumentale d’atmosfera, la O’Riordan estrae dal cilindro un pezzo davvero forte e carico di suggestioni, in cui prova a immedesimarsi nel folle Mark David Chapman, lo spietato killer di John Lennon. Il rock si fa incalzante sin dalle prime battute (prodigioso il drumming di Lawler) e termina la sua corsa simulando quegli stessi spari fatali all’ex Beatles, un fatto che finì irrimediabilmente per segnare la storia della musica contemporanea.
Placide reminiscenze folk emergono invece nell’evocativa “Electric Blue”, canzone inappropriatamente additata con la severa definizione di “riempitivo”.
Il resto della scaletta acuisce i concetti centrali dell’intera opera, evidenziando ancora il senso di vuoto e di perdita, non smarrendo però tratti peculiari come la bellezza delle melodie (cristallina quella di “I’m Still Remembering”, in cui sembra rivolgersi al marito) e il senso di gratitudine per aver condiviso una fetta importante di vita e di esperienze.
Impossibile quindi giunti quasi al termine della nostra retrospettiva non citare nuovamente la dolce “Joe”, in cui Dolores ricorda l’amato nonno scomparso poco prima delle registrazioni del disco; molto sentite e profonde anche le parole che la Nostra esplica in “Cordell”, mentre in chiusura c’è un ulteriore richiamo agli orrori bellici, nella malinconica e rabbiosa “Bosnia”, che parte in forma ballata per poi mostrare i muscoli e gli artigli.
In una versione amplificata, uscita anni dopo, compaiono in coda altri quattro brani, tra cui una cover dei Fleetwood Mac e l’ “Ave Maria” di Schubert, cantata in duetto con il nostro Luciano Pavarotti; d’altronde come detto in quel periodo la fama della O’Riordan era diventata trasversale.
I Cranberries nonostante un album non facile e tutt’altro che accomodante come “To the Faithful Departed” sapranno infine avvicinarsi all’exploit di “No Need to Argue”, loro capolavoro riconosciuto, non eguagliandolo in qualità e coesione ma raggiungendo invero proprio qui – e questo lo si sarebbe scoperto a posteriori – l’apogeo di un’intera traiettoria artistica.
Da lì in avanti infatti il quartetto irlandese iniziò una parabola discendente, perdendo smalto e ispirazione, mantenendo tuttavia sempre il proprio nome ben posizionato in orbita mainstream.
Data di pubblicazione: 29 aprile 1996
Tracce: 15
Lunghezza: 52:19
Etichetta: Island Records
Produttore: Bruce Fairbairn
Tracklist
1. Hollywood
2. Salvation
3. When You’re Gone
4. Free to Decide
5. War Child
6. Forever Yellow Skies
7. The Rebels
8. Intermission
9. I Just Shot John Lennon
10. Electric Blue
11. I’m Still Remembering
12. Will You Remember?
13. Joe
14. Cordell
15. Bosnia