In pochi mesi le nostre vite sono cambiate radicalmente, trasformando le nostre case in uffici, in scuole, in ristoranti, in cinema, in asili. Tutto ciò ha sconvolto, ovviamente, i nostri equilibri quotidiani e ha influenzato fortemente le nostre esigenze e le nostre abitudini, compreso il rapporto con la musica o – come si usa dire oggi – il modo col quale “consumiamo” musica.
Tutto sommato, analizzando il rapporto Nielsen di metà anno, il consumo totale di audio (intendendo la somma di album fisici, TEA e SEA on demand) è incrementato, passando da 330,3M a 361,2M; un aumento totale, quindi, del 9,4%, non equamente suddiviso, però, tra veri e propri album, “track equivalent album”/TEA (praticamente 10 brani digitali sono considerati l’equivalente di un album fisico) e “stream equivalent songs”/SEA (in pratica 125 streams di qualità premium oppure 375 in qualità standard, con interruzioni pubblicitarie, sono considerati equivalenti ad un download digitale di una singola canzone). Ormai, infatti, non ha più alcun senso considerare solamente le vendite di un album su supporto fisico, ma è fondamentale tener conto anche dei download digitali a pagamento (10 download sono ritenuti equivalenti all’acquisto di un singolo album) e degli ascolti effettuati sulle varie piattaforme di streaming (in tal caso per equiparare il singolo album sono necessari ben 1250 streams in qualità premium oppure 3750 in qualità standard).
Se analizziamo le diverse voci del rapporto americano relativo al 2020, ci rendiamo conto che l’aumento annuo del 9,4% è dovuto solo agli streaming audio, i quali hanno avuto un forte e considerevole aumento del 16,2%, mentre tutte le altre possibili fonti di consumo e quindi guadagno evidenziano notevoli perdite: vendite di album su supporto fisico -20,3%; vendite di album digitali -14,3%; vendite in digitale di singole canzoni -23,3%. Ma entrando nel dettaglio dei singoli mesi del funesto e terribile 2020 si nota che, mentre le vendite digitali di album e canzoni rappresentano un settore in evidente difficoltà , invece, da Gennaio fino a Marzo del 2020 – cioè fino a quando è iniziata la crisi pandemica – le vendite di album fisici erano in netta crescita ed erano arrivate ad un notevole +4,6%. Quando, però, il Covid-19 ci ha costretti a casa, cancellando la possibilità di partecipare a concerti, di recarci nei negozi di dischi più specializzati, di partecipare a eventi, mostre, fiere, etc., la vendita di album fisici (leggasi vinili) ha avuto il crollo vertiginoso che l’ha portata dal positivo +4,6% di Marzo 2020 al -20,3% di fine anno.
Ovviamente, con le campagne di vaccinazione ormai in atto, con la conseguente fine di lockdown e restrizioni sociali e con il ritorno ad una vita fatta nuovamente di concerti, eventi e manifestazioni, tutti si aspettano una ripresa della vendita di album fisici, soprattutto vinili, e i primi dati di questo 2021 sembrano decisamente confermarlo, riportando il consumo di musica alla situazione pre-pandemica con i download digitali a pagamento in profondo rosso, gli streaming audio nella stabile posizione di primi della classe e una forte crescita delle vendite di vinili. Si pensi che, ad esempio, durante la sola settimana del record store – nel 2019 – si sono venduti più di 800000 vinili. Dal punto di vista strettamente economico è chiaro che vendere un album fisico, visti i risicati guadagni offerti dalle piattaforme di streaming audio, sia assolutamente più conveniente, soprattutto se si parla di artisti emergenti che possono contare su poche centinaia di streaming audio mensili.
Questi numeri hanno una importanza preponderante su quelle che saranno, di conseguenza, le strategie scelte dalle band o dai singoli artisti per promuovere e commercializzare il loro prodotto musicale, soprattutto se si tratta di artisti emergenti o semisconosciuti che debbono, quindi, diffondere, il più possibile, il proprio nome. La prima questione da risolvere è la seguente: meglio pubblicare un album completo o affidarsi alla pubblicazione di più singoli, nel corso dell’anno, magari accompagnati da contenuti video innovativi?
Anche qui l’analisi dei dati, delle vendite fisiche, digitali e degli streaming audio, ha mostrato un quadro abbastanza eterogeneo. Innanzitutto c’è da premettere che una strategia non esclude l’altra ed entrambe hanno i loro lati positivi e negativi. Un album è più dispendioso da produrre, rispetto una manciata di singoli, i quali consentono di mantenere in circolazione il nome della band per un tempo maggiore e continuativo, con il rischio, però, di produrre un deleterio e controproducente effetto di antipatica e fastidiosa sovraesposizione mediatica. Molti artisti, infatti, preferiscono suscitare attesa e suspense nel proprio pubblico e quindi si affidano al classico album, anticipato, semmai, da un paio singoli, in modo da non rischiare di svuotare quella che sarà la successiva uscita del disco. Probabilmente la scelta migliore, per artisti emergenti, è quella della pubblicazione di un EP, cioè di un album con un numero di brani minore – in modo da abbassare i costi di produzione – anticipandone l’uscita con un unico singolo ad effetto, accompagnato da un video ad alto impatto mediatico, il che non significa, assolutamente, ad alto budget, ma ad alto contenuto evocativo ed immaginifico.
Inoltre, sempre da un’analisi più accurata dei dati di consumo del pubblico, è emerso che la scelta della strada maestra da percorrere – tra album e singoli – dipende anche dalla musica che si intende proporre, ovvero dal proprio pubblico di riferimento. Risulta, infatti, evidente che i fruitori di quello che viene considerato il rock, sia esso più alternativo (indie rock, shoegaze, goth rock, grunge, post-punk, post-rock, new wave, industrial rock etc.), più sperimentale (noise, drone, ambient, avant-garde, musique concrete, etc.) o più classico (metal, hard-rock, folk, blues-rock, prog-rock, psych-rock etc.) preferiscono ragionare in termini di intero album, di narrazioni ad esso connesse e quindi, come coloro che ascoltano musica classica, si orientano, maggiormente, verso una conoscenza il più possibile esaustiva delle band e degli artisti che amano, preferendo, inoltre, l’acquisto del vinile, piuttosto che del singolo download digitale o dell’esclusivo ascolto in streaming. Un comportamento che è in antitesi con coloro che, invece, sono sensibili a generi musicali ritenuti più moderni e contemporanei, orientati soprattutto verso il mondo dell’hip-hop/rap, quello della trap, della dance elettronica, del pop più radiofonico, social e televisivo, i quali ragionano, invece, essenzialmente in termini di singolo brano, di singolo video, concentrando in esso tutta la narrazione e accontentandosi, il più delle volte, dell’ascolto in streaming di playlist costruite ad arte, le quali, però, – ciò è stato più volte sottolineato – portano riscontro economico e commerciale solamente se i numeri di visualizzazione e/o streaming hanno parecchi zeri.
E se proprio vi piacciono i numeri, prima di salutarvi con uno dei video di colei che di tutto ciò può tranquillamente fregarsene, un’ultima interessante analisi del rapporto evidenzia che la maggior parte di vinili venduti, il 43,3%, è ritenuto di genere rock, mentre la maggior parte di streaming audio, il 31,2%, si colloca all’interno del panorama hip-hop. Sono solo numeri? A voi la risposta.
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