Francia del Nord, estate del 1985, villaggio modesto che vive di turismo e pesca, due giovani ragazzi iniziano e terminano nell’arco di poche settimane una relazione. Potremmo sintetizzare così come una breve di stampo giornalistico l’ultimo lavoro di   Francois Ozon, il suo forse più lampante tentativo di filmare la costruzione e distruzione di un amore, qui gay ma senza preclusione all’ambivalenza, retrodatandolo alla metà  del decennio degli 80, traendo spunto dal romanzo di Aidan Chambers, ma evidentemente connotandolo di riferimenti personali, immaginiamo più per il contesto logistico e per la turbolenza delle emozioni, che nello schierarsi pro o contro i due amanti.

Il cinema di Ozon delle ultime produzioni sta diventando sempre più affabulatorio, trasformando anche implicitamente la narrazione e la struttura dei film che diventano contenitori di successioni fattuali di situazioni, eventi che scorrono sequenziali, dove inevitabilmente si perde un certo senso di profondità  a favore di una gradita idea dell’assenza di manovra del regista, il che ne beneficia appunto in termini di comprensione e ritmo, ma ne perde un pò per intensità .

Non sfugge a questa dinamica anche “Estate ’85” che da subito ci proietta in medias res con l’attrazione velocissima fra Alexis, giovane 16enne pensieroso e prudente, riflessivo e introverso, e David 18enne apparentemente già  scafato, impulsivo al limite del fastidioso, estroverso e solare, che solo dopo velocissimi preamboli accompagnati dalla presenza della madre di quest’ultimo (una Valeria Bruni Tedeschi ca va sans dire sopra le righe ma qui è appropriato questo atteggiamento bizzarro)   scoprono il piacere dei corpi, l’essenza dell’amore nelle sue forme appaganti, l’inebriante frastuono dei sensi. Ed è questa la parte migliore dell’opera in cui finalmente si lascia spazio alle immagini, alla profondità  del sentire ma anche a una interlocuzione dei due meno dicotomica e più incentrata nel tentativo eterno della descrizione dei sentimenti, che è poi quello che rende simili e così singolarmente identificabili tutti gli amanti. Ozon mette a fuoco qui l’attrazione delle differenze, tra l’impulsività  e la resistenza, anche fra derivazioni sociali diverse, una semi borghesia  contro una fiera appartenenza di middle class, contrasto che l’autore non deturpa nè viene sottolineato, ma che si rivela anche come forgiatura dei due diversi caratteri: vediamo in mostra, purtroppo per poco, i corpi riflessi negli specchi, le nudità  pudiche sempre dentro un’ossequioso limite affettivo, uno sguardo in questi frangenti che  diventa moderno e vouyeristico, che dialoga direttamente con lo spettatore coinvolgendolo nelle vicende trattate, proiettandolo dentro le scene, sulla moto dei due, nel negozio da pesca, come fossimo partecipi di questa emozione che diventa nostra.

Poi il film , al suo apice nello sviluppo della relazione inizia senza interruzione la sua parte distruttiva con l’introduzione dell’elemento narrativo della turista inglese, che mina alla base il tumultuoso rapporto dei due ragazzi, lacerandoli e facendo emergere le loro reali fragilità  di adolescenti, in bilico fra mancata affermazione, solitudine, senso di perdita e tolleranza verso lo sfogo emozionale. Anche qui il film ha parti frettolose, la scena del diverbio, colta in un paradigmatico distacco, e successivamente le lunghe,   ripetute scene di follia di Alexis sulla tomba di David, ma nel complesso il finale rimane felicemente risolutorio, anche in virtù del prezioso artificio della stesura del racconto di Alexis, elemento terapeutico che dà  sostanza al giovanotto per fissare gli eventi successi e le emozioni riportate in esse, per dare banalmente struttura al film e allacciare i diversi flashback narrativi, ma anche per imprimere una maggior dimensione alla formazione emotiva dei ragazzi, che attraverso una espressività  non vissuta direttamente, la scrittura, riescono a trovare un senso alla realtà  e infine un senso all’intero film.