Sono passati ormai dieci anni dall’esordio di Benjamin Francis Leftwich, quel “Last Smoke Before The Snowstorm” che ha improvvisamente trasformato il menestrello di York in una piccola grande speranza del folk pop britannico. Avrebbe potuto raccogliere di più ma ha scelto di non snaturarsi e con altri due album (“After the Rain” e “Gratitude“) ha consolidato il rapporto con il suo pubblico, anche grazie a lunghi tour che l’hanno portato in Indonesia, Hong Kong e Singapore.
“To Carry A Whale” è nato dopo un periodo difficile, la disintossicazione e la ritrovata sobrietà hanno lasciato il segno ma non certo sconvolto lo stile di un musicista che si è sempre trovato a suo agio con la chitarra acustica tra le mani. Resta la sincerità , s’intravede una nuova maturità nella composizione dei brani, nel modo di suonarli. Il ragazzo con la frangia e i capelli scompigliati non stupisce più ma ci sa ancora fare come dimostra il lavoro di dita in “Canary In A Coalmine” o “Cherry in Tacoma”.
Meno spensierato e dolce di un tempo, regala brani d’atmosfera (“Tired In Niagara”, “Sydney 2013”, “Slipping Through My Fingers”) mettendosi a nudo con un’onesta vulnerabilità che poco ha a che fare con la fredda professionalità di molti colleghi. Un nuovo inizio che ricorda il passato in “Oh My God Please” e “Wide Eyed Wandering Child ” mentre “Full Full Colour” è il segno di una rinascita lenta, una vittoria contro se stessi e i propri demoni.
Inevitabile forse che sia a livello di produzione che di varietà sonora manchi qualcosa rispetto ai primi tre album, ma poco importa. “To Carry A Whale” è una testimonianza importante, imperfetta, che somiglia più a certo folk a stelle e strisce venato di country che al folk pop elettronico di due, tre anni fa. Aggettivi come delizioso e adorabile spesi a piene mani oltremanica nel 2011 e negli anni successivi non rappresentano più Benjamin Francis Leftwich e rischiano di diventare una prigione dorata, oggi che si riscopre cantautore meno ibrido pronto per nuove sfide.