Quindici anni fa veniva pubblicato il primo album dell’artista scozzese (ma dalle chiarissime discendenze italiane) Paolo Nutini, uno di quegli esordi in un certo senso già attesi e sul quale era prevedibile ipotizzarne il successo.
Se pensiamo però che il bel Paolo all’epoca era poco più che maggiorenne, e che di lui si parlava già da un paio d’anni – da quando si mise in luce accidentalmente in uno spettacolo, dove in teoria le attenzioni sarebbero dovute andare tutte al talentino David Sneddon, uno dei tanti carneadi precoci fagocitati dai talent show – è ben chiaro che ci si trovasse di fronte a un talento davvero fuori dal comune.
Sensazioni confermate in pieno da “These Streets”, disco che ne mette in luce i (tanti) pregi e qualche inevitabile difetto, figlio soprattutto dell’età , visto che come detto il Nostro nel 2006 aveva appena 19 anni e la sua scrittura ci appare pertanto in taluni casi evidentemente acerba.
Ma già che sia lui il titolare del progetto (non inganni il fatto che alla produzione figurasse quel Ken Nelson già al lavoro con i Coldplay e che i brani portino più di una firma) indica una forte identità musicale, oltre che una spiccata personalità .
In ogni traccia Nutini si espone mettendo a nudo le proprie fragilità adolescenziali in maniera però sorprendentemente matura, e veramente chiudendo gli occhi è facile venire rapiti dalle atmosfere vagamente retrò e da un cantato memore della lezione dei folksingers americani anni sessanta (senza avventurarci in improbabili paragoni) che ci danno una percezione diversa del suo autore, come se in effetti fossimo davanti a un artista consumato.
Le canzoni, dall’innegabile impianto pop e in prevalenza cucite su intelaiature solide comprensive di strofe sofferte e ritornelli incisivi, riescono a mutare aspetto a seconda del vestito che Nutini dona loro, cosicchè emergono in realtà delle parentele con il country, con il soul, persino con la musica di inizio secolo, tutti elementi che verranno con prepotenza messi in luce nel capitolo successivo, lo straordinario “Sunny Side Up”, la prova della sua affermazione definitiva su vasta scala.
Torniamo però a questo debut-album, già di per sè molto interessante e coinvolgente, e portatore di una predisposizione autentica e cristallina per delle efficaci trame melodiche; tanti sono gli ingredienti mescolati bene insieme (senza alcun bisogno di chissà quali artificiosità ) che concorrono felicemente a fargli occupare un posto al sole nel pop del nuovo millennio.
La scelta di aprire con tre pezzi forti (tutti divenuti dei singoli) appare assolutamente consapevole, come a inchiodare subito l’ascoltatore e mostrargli di che pasta sia fatto questo lavoro: si inizia così con l’orecchiabile e incalzante “Jenny Don’t Be Hasty” dai toni pop rock spensierati e leggeri, un mid-tempo di ottima fattura ma il mood sarà decisamente diverso e Nutini ce lo svela subito con la successiva, memorabile “Last Request”, agrodolce ballata venata di soul.
Sulla stessa falsariga la più lenta e malinconica “Rewind” che parte piano per emozionarci poco a poco, fino a deflagrare di intensità nel bellissimo ritornello.
Si arriva a tirare il fiato con la più rilassata “Million Faces”, dove per la prima volta il giovane cantautore fa uso del falsetto (tratto che diverrà piuttosto caratteristico nel corso della sua carriera) e con la title-track, acustica e sognante, contraddistinta da una delle sue migliori performance vocali.
Il vero cambio di passo avviene all’inizio della seconda facciata e ha i contorni di un vortice sonoro, fresco e trascinante, dai sapori gustosi di un rock’n roll anni cinquanta attualizzato al tempo odierno: “New Shoes” proietta Paolo nel mainstream e lo fa conoscere anche al di là dell’Oceano, con i primi riconoscimenti ottenuti negli Stati Uniti.
E’ una canzone fragorosa e allegra, la più commerciale del lotto (utilizzata anche per un noto spot della Puma, fatto che indubbiamente aiuterà l’intero disco a decollare nelle vendite) e decisamente riuscita, ma che rappresenta un unicum nella scaletta di “These Streets”, adagiato come visto per la maggiore su ritmi lenti e cadenzati – che ritornano presto nella successiva “White Lies” – più adatti a contenere le istanze primordiali di un ragazzo che sembra prediligere una certa gamma di atmosfere (più intime e romantiche che non scanzonate e festose) e che fa un uso misurato ma assai dinamico della sua voce.
Ogni brano infatti, anche quelli più deboli (penso alla melensa “Loving You” e alla pianistica “Autumn”), ha la capacità di mettere in risalto le grandi doti vocali di Nutini, al punto che appaiono tutti allo stesso modo profondi e intrisi di spessore.
Che il cantante scozzese abbia però un certo piglio e la voglia in realtà di cimentarsi in diversi registri lo si evince dall’ultima traccia, la vivace “Alloway Grove” che in coda aggiunge due ghost tracks, la struggente ballata “Northern Skies” e una versione scarna, unplugged di “Last Request”, mostrandoci diverse facce della stessa medaglia.
In un certo senso, così facendo, pare che voglia aprirci una finestra sul suo futuro artistico, un futuro che – ci dirà il tempo al solito galantuomo – saprà essere per lui radioso, con l’asticella della qualità puntualmente posizionata più in alto.
Data di pubblicazione: 17 luglio 2006
Tracce: 10
Lunghezza: 47:26
Etichetta: Atlantic Records
Produttore: Ken Nelson
Tracklist
1. Jenny Don’t Be Hasty
2. Last Request
3. Rewind
4. Million Faces
5. These Streets
6. New Shoes
7. White Lies
8. Loving You
9. Autumn
10. Alloway Grove