I R.E.M. riempi stadi, quelli sempe in heavy rotation a partire da “Losing my religion”, lo Stipe calvo con gli occhi alla “Blade Runner” iniziano da qui, dalle premesse che portarono a “Lifes rich pageant”.
Il quarto album del quartetto di Athens, che poi è un classico paradigma , lo snodo che distingue la solidità di un gruppo, indie o no, che supera la prova di maturità dello scoglio del terzo disco (se fai il botto col primo, il secondo lo fai uguale e arriva l’incubo del terzo) e si accorge di dover decidere cosa fare da grandi o mangiarsi le briciole. Un pò questa era la condizione dopo “Fables of reconstruction”, che di ricostruzione fece poco, se non forse accentuare un bisogno di chiarimento più che la definitiva rassegnazione al fallimento.
Insomma, c’era bisogno di una svolta, ma anche di un periodo di tranquillità , che coincidono con un nuovo produttore con le palle, Don Gehman, un ritiro bucolico in Indiana, condizioni necessarie per calibrare un disegno, compattarsi e mirare il tiro, soprattutto per far convivere le 3 anime più sensibili ed effervescenti della band, il rocker Buck, l’intellettuale maudit Stipe e il più compassato Mills, per non far prendere la tangente inutilmente ai personalismi, insomma per convincere tutti della forza e delle potenzialità anche finora inespresse del progetto R.E.M..
Dalle ancora fumose percezioni degli album precedenti, un intrigante miscuglio di cristalline melodie byrdsiane e una voce oscura al limite della comprensione, nel 1986 di “Lifes rich pageant” si apre un bozzolo, una versione crisalide più diretta e scoperta con un esito che segna il giro definitivo di boa del combo della Georgia , con canzoni finalmente aperte, con gli stessi strumenti che suonano meglio, con la voce di Stipe che si comincia a distinguere e ad apprezzare anche per le doti canore, per una maggiore consapevolezza da rock band del gruppo che in poche parole diventa adulto.
Non viene snaturato il nocciolo, non parliamo di un cambiamento, ma di semplice evoluzione naturale, dove alla chitarra si fa sempre più corrispondere l’esigenza del riff ad esempio di Buck (“Begin the begin”), alla voce il canto modulato di Stipe che raggiunge vette prima impensabili (“Cuyahoga” ma altre) , Mills ci degna fortunatamente dei soliti celestiali cori (“Fall on me” ma anche qui molti altri), e il drumming di Berry diventa più incisivo, a ragion veduta un dettaglio fondamentale per le nuove canzoni.
E’ il contenuto di questa dozzina che non cambia, è qui l’anima vera dei nuovi R.E.M. che rimane e rimarrà intatta anche nel prosieguo, riuscire ad avere un’ispirazione, una capacità compositiva talentuosa ad ogni nuova produzione, pur rimanendo nel perimetro del suono R.E.M., fatto di arpeggi, jingle jangle veloci (“Hyena”), country sudisti al fulmicotone (“Swan Swan H”), aperture rock post Zeppelin (“Begin the begin”), insomma l’espressione più nitida e probabilmente veritiera dell’indie rock americano anni 80.
Ricordo come un miraggio l’aurea che accompagnava anche qui in Italia le gesta dei quattro accompagnati da recensioni entusiastiche nelle fanzine di settore, in un periodo in cui la fruizione di questo tipo di musica era ancora difficile, giravano pochissimo le canzoni per radio e vi era una difficoltà strutturale ad avvivicinarsi a influenze musicali come queste. Per dire che questo gruppo e pochissimi altri della loro generazione hanno veramente rappresentato prima del futuro scombussolamento del grunge, il superamento e la sublimazione del alternative rock, paradossalmente partendo da un repertorio fondato su basi superclassiche che si richiamavano al periodo d’oro fine anni 60 del rock a stelle e strisce, con un messaaggio ed una determinazione che facevano forza anche sull’impegno e sulla connotazione di attivismo politico da sempre privilegiata nei testi di Stipe.
Anche in “Lifes rich pageant” nelle liriche vi è una commistione tra visioni personali (“I believe”), malinconici sentori di un eden primordiale con il quale si ricordano le dolorose gesta degli indiani d’America (“Cuyahoga”), condivisione della causa ambientalista (“Fall on me”), di uno Stipe leader incontrastato, pertfettamente dentro al suo tempo e dentro la sua anima, disinvolto quanto basta a riflettere le sue fragilità , capace di trasportare col suo nuovo canto intere generazioni col timbro di una voce unica, finalmente calda e confidente, capace di donare un’ineguagliabile carica emotiva e contemporaneamente catapultare l’ascoltatore dentro il contesto della canzone, come se fossimo noi a cantare, come se avessimo sempre desiderato scrivere brani come queste poesie nascoste, con questa personalità , con quell’ermetismo così carico così distintivo. Questo è quello che è successo con i R.E.M., una viscerale coincidenza fra canzoni indimenticabili e il desiderio di emulazione di noi fans cresciuti con loro, in una commistione riuscita e rara fra spinte di emersione, malinconia e impegno, un’intensità nell’approccio alle cose che per lunghi anni ha accompagnato le nostre vite nella loro interezza come fossimo davanti ad uno specchio, mentre ci guardiamo e ci commuoviamo, non sapendo di diventare, tutti, più ricchi.
Pubblicazione:28 luglio 1986
Durata:38:23
Tracce:12
Genere:Rock alternativo
Etichetta:I.R.S. Records
Produttore:Don Gehman
Registrazione: aprile-maggio 1986, Belmont Mall Studios, Bloomington, Indiana
Tracklist:
1.Begin the Begin
2.These Days
3.Fall on Me
4.Cuyahoga
5. Hyena
6. Underneath The Bunker
7. The Flowers Of Guatemala
8. I Believe
9. What If We Give It Away?
10. Just A Touch
11. Swan Swan H.
12. Superman