Da sempre legato a doppio filo alla storia della sua famiglia nell’intera carriera cinematografica, quasi che nel corso del tempo sia sempre esistita una ombelicale intersezione fra vicende domestiche e sceneggiatura dei vari film, e se finora questo particolare rapporto di ossessiva dipendenza si manifestava in ricordi, spunti visivi, rimandi brevissimi a determinati particolari di vita , con questo “Marx può aspettare!” per la prima volta Marco Bellocchio decide di scegliere come materia principale della sua ultima opera il racconto familiare in forma documentaristica, nella fattispecie le vicende legate al fratello gemello Camillo, dolorosamente suicidatosi all’età di 29 anni.
Bellocchio dal pretesto di un pranzo recente con tutta la truppa familiare traccia il profilo dello sventurato Camillo attraverso le interviste ai 4 fratelli e sorelle rimasti, alla sorella della compagna del gemello, dedicando ampio spazio anche a proprie dichiarazioni in presenza del figlio, annodando questi dialoghi in modo dinamico con filmati d’epoca e scene tratte da sue precedenti produzioni, ripercorrendo le fasi di passaggio dall’infanzia fino al tragico epilogo.
L’autore dei “Pugni in tasca” confeziona in questo modo un racconto di un magma denso di affetti e ricordi, una calata lavica lenta ed inesorabile di umanità e personalità , dove le parole dette esplorano e proiettano sullo schermo senza pudore i sentimenti di una famiglia unica, eterogenea e vitale, mai assopita, fatta di individualismi anche spietati e ma anche di zone d’ombra irreparabili, fra contrasti e divisioni sempre allacciate da quel filo indistruttibile dato dal legame sanguigno; ne esce un quadro di vita paradigmatico, l’esperienza del tempo che scolpisce il marmo familiare erodendolo di qualche pezzo, ma lasciando solidamente intatte le relazioni, e Bellocchio ha anche qui con la forma documentaristica la forza e l’arte di riuscire a tradurre questa idea di tenerezza inscalfibile, la famiglia come una nave in perenne viaggio avventuroso sui mari turbolenti della vita.
Si rimane sbalorditi, ma non è la prima volta con il regista piacentino, di come l’esperienza della visione del film permetta di accarezzare le emozioni, i sentimenti, avendo la sensazione che lo sguardo rimanga sempre estraneo, del tutto coinvolto nell’obiettivo di tentare una descrizione minuziosa degli eventi, mai romanzandoli, ma creando il substrato che ha delineato e creato i fatti narrati, sempre ad un passo dalla commozione ma con assoluta fermezza e riluttanza verso il senso di colpa: Bellocchio ammette più volte, come gli altri fratelli, che avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione al periodo precedente al suicidio di Camillo, ma questa ammissione come è giusto che sia è priva di partecipazione ideologica, non c’è rimpianto ma devozione e rispetto verso una concezione laica della vita, in cui non vi può essere onniscienza e onnicomprensione, in cui si riconoscono i limiti e l’inesorabilità del tempo anche di fronte alla peggiore delle disgrazie che ci possono essere proposte.
Non c’è quindi niente da imparare nelle vicende narrate, Bellocchio non vuole fare del gemello un disperato o mitizzarne la figura del perdente in una famiglia di intellettuali, ma vuole dare un senso allo scorrere del tempo, come se si dovesse interiorizzare e liberarsi in modo definitivo di una vicenda tortuosa, un elemento caro e straziante che però rimane dentro la poetica del regista, della storia fatta dagli uomini e dalle loro ambiguità , guidati dai fatti e dalla ragione, che cede ai sentimenti ma non al lamento della fallimento o peggio della tristezza.
Si sorride anche, grazie alla spavalderia di questi ex giovanotti 68ini, e ci si commuove pure e tanto, soprattutto nei momenti dedicati alla sorella sordomuta, impagabile nel suo modo privo di macchie, puro come una fanciulla, di evocare i ricordi del povero Camillo e del senso dell’amore dei genitori; si rimane estasiati infine di fronte alla forza delle ultime immagini, del breve sogno in cui Marco vede arrivare il fratello correndo, in un finale di specchi ritrovati fra le immagini dei gemelli, senza commenti, ma con la chiara intenzione di evocare domande sull’eventualità del tempo, sulla nostra partecipazione ad un dolore evocato, sulla bellezza inafferrabile e caduca delle nostre esistenze.
Un film tanto bello e caro, amaramente uscito in un periodo complicato perchè venga apprezzato come si meriterebbe un gioiello di tale portata emotiva, per tutti noi figli, per tutti noi carichi di umanità .